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Annamaria, compagna di strada

Se n’è andata inaspettatamente Annamaria Adamo. Il dolore è grande. E il ricordo è doveroso. La ricorderanno in tanti preside della scuola media “Piazzi”, ma anche formatrice, esperta in processi cognitivi e disabilità. Una figura storica per la scuola siciliana, una donna militante, vibrante di spirito democratico, attenta alla politica e al sociale. Una donna di sinistra.

Per me Anna è stata una compagna di strada. Nel 1997 la presidente del CIDI Cristina Morrocchi volle rinnovare il Direttivo e chiamò lei e me a farvi parte. Ci conoscemmo in quell’occasione. Assunsi poi la presidenza del CIDI di Palermo dal 2004 al 2012 e la chiamai perché volevo che rientrasse (anni prima ne aveva fatto parte). Fui insistente. E cedette. Avevo bisogno della sua scienza e della sua esperienza e volli che mi affiancasse come vicepresidente. Una dirigente che fa la vicepresidente di un docente era davvero un paradosso. Solo lei poteva produrlo. Umile, fedele, preziosa sempre. Nel 2007 il CIDI rimase senza sede, e con generosità offrì la scuola che dirigeva. Tutt’ora la Piazzi è la sede del CIDI.   

Otto anni gomito a gomito. Brutto carattere, si diceva qua e là. Certo, in tempi di politicamente corretto e di buonismo mieloso in cui non si riesce più a dire soggetto predicato e complemento senza giri di parole, Anna era un brutto carattere. Ma per uno come me era perfetta, perché sapevo sempre quel che pensava. Non la mandava a dire.

Con lei il CIDI di Palermo ha acquistato forza e prestigio, e a lei il CIDI attuale deve tantissimo. Per anni ha messo a disposizione delle docenti e dei docenti palermitani la scienza di Mauro Di Mauro, esperto di scienze cognitive e di metodo Feuerstein alla Ca’ Foscari di Venezia. I suoi corsi, frequentatissimi, hanno ispirato la didattica inclusiva di tanti insegnanti prima dell’invasione di BES e conseguenti PDP che hanno ormai ospedalizzato la scuola a causa della sfiducia dei genitori nella capacità inclusiva della stessa.

Compagna di strada. Di quelle che puoi voltare le spalle senza temere nulla. Di quelle che ti proteggono senza fartelo capire ma tu lo capisci lo stesso. Uno spirito apparentemente spigoloso, ma capace di infinita dolcezza e sconfinata generosità, come ben sanno i suoi familiari. Aveva una speciale sensibilità umana per tutte le forme di svantaggio e disabilità, come ben ricorderà il comune amico Maurizio Gentile. Legatissima ad Alessandra Siragusa, altrettanto a Giancarlo Cerini, figure che questo blog ha ricordato e che resteranno per sempre nella memoria della nostra scuola. Proprio come la nostra – e mi piace chiamarla come la chiamavano tutti – preside Adamo. Ciao Anna.

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Un anno senza Giancarlo Cerini

A Forlì nel 2016

Era di quelle presenze che ti danno la sensazione di latitare per settimane o mesi. Ma quando la posta elettronica o whatsapp lo facevano ricomparire era come se ci si fosse sentiti o scritti il giorno prima. Nel frattempo aveva messo insieme cento idee, ma quel che colpiva è che di quelle cento alcune erano ritagliate precise per te, e quando ti chiedeva di scrivere questo o quell’altro dentro una cornice che lui aveva elaborato ti sembrava che proprio di quello ci fosse bisogno in quel preciso contesto. Conosceva perfettamente vocazioni e talenti di tutti, e a ciascuno chiedeva quello che era di stretta pertinenza dell’interessato. Un vero direttore d’orchestra che conosceva i suoi musicisti.

Un anno senza Giancarlo. Senza l’imprimatur. L’imprimatur è quella sensazione, anche se non espressa, di valere, di poter fare qualcosa di utile per la scuola. L’imprimatur è quel pensare a lui mentre scrivi, indovinare cosa ne penserebbe. Soltanto quando mi occupavo di Dante non si sentiva particolarmente coinvolto, per ovvia diversità di interessi. Eppure il ventisettesimo canto del Purgatorio ha un’espressione che ben si potrebbe adattare al ricordo di lui. Quando Virgilio, la guida, scompare alla vista di Dante, il poeta esclama: Ma Virgilio n’avea lasciati scemi di sé. Appunto, Virgilio ci aveva lasciati privi di sé. E forse, davvero, anche un po’ più “scemi” quando vogliamo capire qualcosa di questa scuola sgarrupata.

Il prossimo 27 aprile lo ricorderemo a Palermo. Qui la locandina.

Amico e maestro

Tanti scriveranno biografie professionali di Giancarlo Cerini che non c’è più. Questo blog farà tutt’altro. Lascerà la traccia di un rapporto antico, che data dalla metà degli anni Novanta. Quando ci incontrammo a Roma nella sede del CIDI nazionale, casa sua e casa mia.

Quando uno decide di credere in te. Tu sei un insegnante che a 35 anni deve imparare tutto e lui scrive pagine di storia della scuola italiana. Un gigante. Amante dei bambini, studioso dei bambini. L’ispettore ministeriale dei bambini. Ci sono tanti modi di credere in te. Ci sono quelli che credono (dicono di credere) in te e non rischiano di metterti in gioco. E ci sono quelli come Giancarlo Cerini, che ti buttano avanti, ti propongono di parlare e di scrivere, ti sponsorizzano, ti fanno volare ben oltre quello che tu pensi di te stesso. Ti insegnano senza insegnarti. Tu lo guardavi e imparavi. E ti contagiava il virus della scrittura perché lui era grafomane ed io volevo essere come lui e mai diventerò come lui ovviamente, ma ogni giorno oggi penso di scrivere qualcosa. Scripta manent. Alcuni di noi ci credono.

E poi a tavola. Quanta tavola insieme, in Romagna e in Sicilia, ma anche a Roma e in tante altre città italiane. Un buongustaio, un amante del buon cibo e del buon vino. E quanti convegni e seminari. Un fanciullo. Se metteva mano a un documento già era contento prima che venisse pubblicato. Mai cinico, sempre pieno di speranza e ottimismo. Mai disfattista, mai giacobino. Sempre a mediare e conciliare gli opposti in vista di un’armonia superiore. Sempre a costruire, con qualsiasi ministro. Anche con quelli che lo mettevano da parte. Ma lui lavorava per le istituzioni. Un giorno Frabboni disse pubblicamente che lui era uno dei sette cavalieri della pedagogia del Novecento. Era il 2002 eravamo a Cesena. Io c’ero. Giancarlo lo guardò commosso come uno scolaretto.

Ricordo i suoi appunti. Strepitosi. Una giungla di frecce freccette parole piccolissime scritte in tanti colori. Assorbiva come una spugna. Stava seduto ai convegni e appuntava freneticamente tutto, perché era incessantemente allo studio, e mentre ascoltava una relazione aveva già in mente un articolo e nel frattempo pensava ad altre quattro persone per altri quattro articoli. Una macchina implacabile di studio e ricerca. Di progetti. Coinvolgeva tanti a pensare, progettare, scrivere, pubblicare. Lascia una mole imponente di strumenti utili per pensare e fare la scuola.

E infine a casa mia. Stanco al termine delle sue escursioni tra le scuole sicule si rifugiava davanti ad un piatto di spaghetti e un bicchiere di vino a casa. E sentivo che stava bene. Non c’erano obblighi di forma.

Perse la figlia più di dieci anni fa, la sua unica figlia, Beatrice, che aveva 35 anni. Fu una prova durissima, che affrontò con coraggio e determinazione. Ma durissima.

Questo post non può essere chilometrico, benché i ricordi potrebbero renderlo tale. 25 anni di amicizia e di collaborazione che si interrompono bruscamente, qualche giorno dopo i suoi 71 anni. Fino all’ultimo scriveva e pubblicava. Fino alla resa. Nel mio pc qualche ipotesi di lavoro, qualche brandello di testo dal titolo “Per Giancarlo”.

Qui di seguito alcune foto ricordo…

“Più alto verso l’ultima salute”

Se ne va un uomo gentile, un insegnante appassionato e un intellettuale serio. Pippo Lo Manto è legato a Dante, ed è giusto così perché il poeta fiorentino gli ha impegnato una vita e soltanto chi ama Dante può capire che una vita non basta per entrare in quel mondo. Essere legato a Dante consentiva a Pippo di tenere insieme il suo “cor gentil” e la “cara imagine paterna” che è rimasta impressa nel tempo ai suoi ex alunni, insieme al rigore di pensiero con cui indagava le pagine dantesche. Era fortemente convinto che Dante potesse parlare al nostro tempo, ma che occorresse studiarlo bene per coglierne la presenza. Non tutti sono convinti di questo, anzi c’è chi è convinto del contrario.

Negli ultimi mesi di vita ha incoraggiato con convinzione il mio impegno dantesco e, già ammalato, ha presenziato a qualcuno degli incontri sulla Commedia tenuti alla Casa dell’Equità e della Bellezza di Palermo. Lo ha fatto con l’autorevolezza e la gentilezza che in lui erano tutt’uno. Oggi che se n’è andato, studio Dante con qualche insicurezza in più. Era come avere una sorta di salvagente cui ricorrere in caso di incertezze interpretative. Ha insegnato che si può essere intellettuali senza essere paludati, e anche in questo somigliava al suo autore amato, che rimandava al mittente tutti gli inviti ad evitare di rendere facili le cose difficili. Sol per questo merita che il suo impegno e la sua ricerca trovino continuità. Raccoglierne il testimone è un dovere per tutti.

Se ne va un grande

Non ha importanza quanti  lo abbiano conosciuto. Anzi, questo blog qui ne offre l’occasione.

Fabio Grasso è stato prima un insegnante e poi un dirigente scolastico. Dal 2013 era in pensione. Per sette anni è stato il dirigente scolastico della scuola in cui ho insegnato per molto tempo, il Liceo “De Cosmi” di Palermo. Chi ha avuto a che fare con lui non ha mai visto né un burocrate, né un manager né un gerarca. Né, peggio, un tecnocrate. Dei dirigenti di questa stagione scolastica si sono dette tutte e quattro le cose, e purtroppo in non pochi casi non si sbaglia. Fabio Grasso è stato prima di ogni cosa un uomo, e un intellettuale. Ha diretto la scuola con umanità e cultura. Che in lui divenivano autorevolezza. E’ facile gestire le organizzazioni col pugno di ferro o con la ruffianeria di chi dice di sì a tutti. Non lo è praticare l’auctoritas, che è quella cosa che non ti dai da solo ma ti riconoscono gli altri. Che è fatta di sensibilità, razionalità e competenza. Questo signore le aveva tutte e tre, e basterebbe che ogni dirigente, oggi, ne avesse metà di quanto ne aveva lui per far bene sperare per la nostra scuola. Aveva studi filosofici, ma non si è mai vista in lui spocchia da erudito. Sapeva gestire i rapporti con tutti, senza indulgere a snobismi e a populismi. Capace di scelte impopolari e, nel silenzio, capace di essere vicino a qualsiasi insegnante si trovasse in serie difficoltà personali. La riservatezza era la sua cifra. Ma non meno di questa lo abitavano la convivialità, lo scherzo saporito e l’attenzione alle piccole cose belle della vita. Amava mangiare, amava ascoltare musica, amava viaggiare, amava nuotare. E amava… amare. Quando andò in pensione regalò ai suoi docenti un bonsai che lo ricordasse, con l’invito a continuare a crescere. E quella scuola continuò a crescere. Dalle sue radici.

Se n’è andato domenica mattina, 1 marzo 2020, senza aver compiuto 72 anni. In maniera fulminante, lasciandoci tutti senza neppure avere il tempo di capire ed elaborare. Sul mio cellulare, quest’ultima sua frase, il primo gennaio del 2020, quando la malattia si faceva sempre più acuta: “Non mi arrenderò mai”.

La scuola siciliana, che ha già molte ragioni di sofferenza, può attingere alla sua memoria per essere migliore.

Ciao Aldo

Ho conosciuto Aldo Musciacco nel mio periodo di Segreteria nazionale del CIDI. Presiedeva il CIDI di Napoli. Mi fece subito impressione la sua capacità “filosofica” di entrare nelle questioni di disagio scolastico, dispersione, insuccesso. Si vedeva che era uno che si era fatto carico degli inferni pedagogici delle periferie napoletane. Poi un giorno mi fece fare un giro in macchina dalle parti di Scampia raccontandomi che cosa significava attraversare con il counseling quegli inferni. Entrava nelle questioni di scuola in modo genuino, antiaccademico, e guardava con sospetto ogni minima forma di scuola che ignorasse l’impasto indissolubile tra cognizione ed emozione. Ho imparato molto da lui. Mi piace qui risuscitare un suo prezioso intervento pubblicato su un dossier altrettanto prezioso di “Insegnare” nel 2007 dal suo amico Mario Ambel.

La foto pubblicata sopra lo ritrae in un momento del confronto che nel 2009 io stesso moderai a Jesi tra lui e Carlo Fiorentini (a sinistra Ambel). Erano due anime irriducibilmente diverse del CIDI di quegli anni, ma per me furono ugualmente due maestri.

Aldo era anche conviviale. Assai. Ancora lo vedo mangiare deliziosamente il pesce fritto di Palermo. E così mi piace ricordarlo.

Ciao maestro

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Il ricordo di un altro maestro: Mario Ambel

 

 

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