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Auguri a un grande della scuola italiana

Mario Ambel, direttore della rivista “Insegnare”, compie oggi 70 anni. In tempi di impoverimento del discorso sulla scuola, uno che quando parla e scrive mette in moto i neuroni merita gli auguri di tutti.

Quest’uomo io lo conobbi

Nella mia prima vita, fino al 2012, ho frequentato ambienti religiosi e ho avuto la possibilità di conoscere dall’interno la comunità monastica di Bose, nonché il suo fondatore Enzo Bianchi. È probabile che molti di coloro che leggono non sanno cosa sia l’una né chi sia l’altro, ma poiché questo è un blog di resistenza umana ritengo doveroso testimoniare in forme essenziali il mio approccio a quel che probabilmente si sarà saputo dai media, ovvero la distruzione scientificamente dis-umana della comunità di Bose per un mix di autoimplosione e di violenza clericale da parte della chiesa cattolica con il beneplacito di Celestino Bergoglio quinto. Il comunicato appena pubblicato dello stesso Enzo Bianchi risulta istruttivo in tal senso.
Qui non importa entrare nel merito ma fare memoria. Ho potuto vedere con i miei occhi teoria e prassi di un cristianesimo autenticamente aderente al Vangelo, ma soprattutto ho potuto vedere con i miei occhi persone rinate a contatto con la semplicità di vita e l’umanità di Bose e di Bianchi. Ho potuto constatare la normalità (categoria veicolatami dall’attuale priore Manicardi in un percorso fatto insieme verso Punta Raisi alla fine degli anni 90) di persone che non avevano bisogno di assumere pose ieratiche o atteggiamenti sopra le righe dell’ordinario per esprimere la semplicità e la quotidianità della loro scelta. Ho potuto vedere con i miei occhi la capacità di frequentare ogni donna e ogni uomo e di confrontarsi con ogni approccio religioso ed esistenziale in senso lato. Ho letto decine e decine di libri pubblicati dalla loro casa editrice in cui non ho trovato traccia di moralismo o di devozione stile Radio Maria, che invece prospera alla grande proponendo un cristianesimo controriformistico che fabbrica sensi di colpa.
Potrei scrivere tanto, ma in rete non è cosa buona, anche se tanti lo fanno. E annoiano. Non so se Bose fosse cosa buona o molto buona per il cristianesimo. Non so se fossero eretici, perché non sono in grado di valutarlo e non mi interessa. Però per 50 anni, passando per Montini, Luciani, Wojtyla e Ratzinger, se ci fosse stato qualcosa di eretico qualcuno lo avrebbe detto. Neppure adesso è stato detto. Se fosse stato detto magari il gesuita che sta al Vaticano avrebbe potuto intestarsi una medaglia al valor domenicano: sconfitta un’eresia. Invece l’ inquilino superosannato del Vaticano ha inviato uno sconosciuto chierico psicologo per distruggere tutto. Alla faccia del papa progressista.
Il fatto che tutta quella bellezza abbia avuto come fondatore quell’uomo a me parrebbe ragione sufficiente per essergli grati. Quale che sia il modo in cui abbia vissuto la transizione dal suo ruolo di priore a quella di semplice monaco, bastava farglielo notare. È un problema di elaborazione del lutto che tutti i fondatori vivono. Si tratta di dinamiche che non hanno nulla di censurabile in generale, figuriamoci in un ambiente in cui le eventuali fragilità dovrebbero trovare un campo fertile di accoglienza. A Enzo Bianchi si può solo dire grazie, perché quello che ha creato in questo mezzo secolo rappresenta la trave rispetto alla quale qualsiasi pagliuzza trovata dagli zelanti inquisitori impallidisce.
Nella mia formazione umana frequentare Bose è stato determinante, a prescindere dalle mie scelte esistenziali successive. È stato un magistero di umanità, di laicità, di apertura mentale e di capacità di convivere con la fragilità che è in ciascuno di noi. È stato anche un magistero di amicizia sincera e di convivialità. Che ho continuato a frequentare anche dopo le mie scelte, e senza soluzione di continuità nelle relazioni. Ed è quanto dire. Senza Bose e senza Bianchi sarei tutta un’altra persona. Se anche fossi rimasto da solo (considerata la proverbiale ignavia di tanti cattolici praticanti), io qui ringrazio di avere avuto la fortuna di conoscere Bose ed Enzo Bianchi.

Cattivi maestri
Quel che più inquieta dei sette minuti e cinquantanove che vi chiedo di guardare con attenzione sono i dodici secondi di applausi. Il professor Sesta parla di coito e orgasmo pubblicamente ad una platea di persone ignare di quanto dannosa possa risultare, soprattutto dal punto di vista educativo, la rappresentazione dell’atto sessuale proposta.
La visione del professor Sesta, che per sostenere il suo ragionamento si appoggia incessantemente a filosofi e poeti, approda ad una conclusione che a mio parere rende urgentissimo cominciare anche pubblicamente a prendere le distanze da questo esercito di amorologi ed erotologi, tra cui il noto Recalcati, che negli ultimi tempi inondano platee, affascinate dal loro eloquio seduttivo, di teoremi sull’eros e sulla sessualità.
Passo in rassegna rapidamente alcune affermazioni del professor Sesta che questo intervento – ripeto, applauditissimo – ci offre:
Nell’orgasmo l’uomo è “costretto a concentrarsi sul proprio corpo piuttosto che su quello altrui”
“L’orgasmo è il momento in cui il rapporto diventa solitudine”
“L’orgasmo è esattamente il punto più basso del rapporto sessuale”
“Appena arriva l’orgasmo ciascuno dei due ricade su se stesso”
“E’ una sensazione neurofisiologica troppo intensa perché si possa badare all’altro”
Dopo il coito, l’uomo “se n’è andato”
Il coito indurrebbe a “nausea”
“C’è molta più intensità erotica nello sguardo che nel coito”
“Il coito è sempre sospetto”
Esistono miliardi di umani che fanno esperienza sessuale in modo completo fino all’orgasmo. Occorrerebbe davvero chiedere a quanti più possibile se si sentano “soli”, dopo. A sentire il professor Sesta i miliardi di coitanti del passato e del presente farebbero bene a superare la loro concentrazione su se stessi per entrare nello spazio altruistico di “baci e carezze”. Nulla di questo discorso farebbe pensare che questo esercito di persone possa continuare ad amare il loro partner mentre coitano e dopo che coitano. Ciascuno può constatare quanto senso di colpa e quanta frustrazione latenti si annidino nella ricezione di questo pericolosissimo ragionamento: come dire, quel che la natura fa accadere non é cosa buona. Meglio fermarsi prima per santificarsi? Aiuto.
Teorizzare pubblicamente su coito ed orgasmo è molto seduttivo perché solletica il non so che degli astanti, ma anche molto pericoloso, professor Sesta. Presentare questi, che sono approdi naturali (ripeto: naturali) della sessualità, come gesti tristi o in qualche modo egoisti non può avere che l’effetto di svalutare l’umano che è in ciascuno di noi, che restiamo animali razionali. Non angeli, ma animali razionali. L’eticizzazione dell’orgasmo mi appare quanto di più ingenuo e foriero di sensi di colpa possa essere offerto ai nostri giovani. La visione angelicata della sessualità che ne esce non giova se non a chi – come i plaudenti del video – desidera, per ragioni che non è il caso qui di approfondire, una rappresentazione dell’umano idealizzata, e per ciò stesso frustrante. Homo sapiens resta sapiens anche nel coito e nell’orgasmo, professor Sesta. Non solo, ma resta amans. Amans come un umano può amare. Perché gli umani amano in quanto umani, e se il professor Sesta ritiene questo modo di amare per lui insufficiente perché vuole indossare un vestito più stilnovistico, ciò non implica alcuna eticizzazione di atti che nella loro naturalezza sono gioia e pienezza per tantissime persone. Punto culminante, altro che punto più basso. Se i dati di cui è in possesso il professor Sesta – Letture? Esperienza personale? Esperienza raccontata? – gli hanno consegnato invece l’idea di un maschio “che se ne va” o che sarebbe “triste” dopo il coito – ciò che gli fa apparire lo stesso come punto più “basso” dell’atto sessuale – non possiamo consegnare questa visione ai nostri giovani, cui é doveroso narrare l’umano né ridotto a mero animale né ridotto – sì, ridotto – a creatura angelica.
Come disse qualcuno, di quel che non si può parlare sarebbe meglio tacere.
Finalmente qualcuno lo fa
Nessuno come Maurizio Crozza poteva dire della divinità Recalcati quel che nessuno osa dire. Sette minuti esilaranti.