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Tracce d’Esame: non sto nel coro

La platea degli oppositori all’attuale governo tuona scandalizzata dai media e dai social per le tracce d’esame di prima prova proposte agli studenti. Se ne sono lette di tutti i colori, si sono viste vesti stracciate e si è gridato allo scandalo. Ho letto e riletto le tracce più volte, le ho pure commentate pubblicamente a richiesta della rivista del CIDI Insegnare, ma al frastuono generale non riesco ad unirmi per quanto desideri farlo perché anche a me questo governo e questo ministero non piacciono. E non ne faccio mistero pubblicamente. Ma qualcosa mi rende impossibile imbracciare anche la mia lancia con le altre: si chiama onestà intellettuale. Cioè non volere venir meno all’intelligenza incondizionata.
Dai loro siti gli studenti si sono altresì lamentati. Ma non ci hanno messo niente di quel che invece gli adulti hanno messo. Hanno solo rilevato che non si aspettavano quelle tracce, senza scomodare ideologie, maschilismi, passatismi, arcaismi e altro armamentario di cui si è letto. Hanno persino dichiarato che quelle tracce rispetterebbero le Indicazioni Nazionali (Quasimodo, Moravia), ma quegli autori a scuola magari non si trattano. Rilievi didattici, non politici.
Si è rilevato che solo uno su dieci sarebbe stato in grado di fare tutte le tracce. E che c’è di strano? Quando mai è stato diverso? Le tracce sono sette perché si scelga, e si scarta proprio ciò che non ci si sente in grado di fare. Perché non calcolare invece quanti studenti non avrebbero saputo farne alcuna? A vedere le percentuali non pare che gli studenti si siano concentrati solo su una o due.
Diverse colleghe e colleghi, non militanti, non politicizzati forse, mi hanno scritto che dal loro punto di vista si trattava di tracce praticabili. Forse si tratta di una platea silenziosa incapace di cogliere le diavolerie ideologiche dei tecnici ministeriali. Dico la verità: mi piace far parte di questa platea. Chiamatemi ingenuo. Io ho visto essenzialmente quattro cose:
- Il ridicolo della traccia C1 con la lettera degli intellettuali a Bianchi. Bastava ignorarla. Ma tutti questi difensori di Bianchi al tempo di Bianchi non si erano visti. Anzi.
- La sorpresa positiva del concetto di nazione di Chabod, decisamente più evoluto rispetto a quello del governo. La nazione non è fine a se stessa. L’Europa e l’Umanità sono il suo orizzonte di riferimento. Meloni?
- L’altra sorpresa positiva dell’utilizzo di un articolo di Repubblica, che non mi pare sostenga questo governo.
- L’innocenza sostanziale delle altre tracce, che potevano prestarsi a trattazioni banali o intelligenti. In tutte c’era campo di esibire intelligenza, cultura e capacità di scrittura. Non mi pare che Piero Angela fosse un intellettuale di destra e che scrivesse fregnacce, e non mi pare che la Fallaci, che invece con la destra qualche rapporto l’aveva, volesse in quel testo fare apologia di totalitarismi di destra. Senza considerare Moravia, che militò nel PCI.
Insomma, qualcosa, quando vedo l’indignazione delle mie compagne e compagni di sinistra, non mi torna. Nell’insieme non ho visto quest’anno insulsaggini superiori a quelle che ho visto in tutti questi anni, in cui nelle tracce c’era di tutto e di più, e non erano soltanto governi di destra.
Di più: chi qui scrive ha tuonato davvero quando è venuta fuori la madre delle insulsaggini, cioè il colloquio sancito dalla nuova formula di esame (2018-2019, dlgs 62/2017) che bandiva la terza prova e creava lo spezzatino nientologico condito da improbabili documenti misteriosi da commentare e collegamenti patetici tra gli argomenti trattati. Il tutto per autorizzare nelle programmazioni coordinate il delirio delle tematiche trasversali, sedativo che non fa avvertire a molti il dolore delle proprie carenze disciplinari. Per scippare dalle mani degli studenti la tesina sono spuntate le buste, l’elaborato introduttivo e altra materia risibile. Di urla se ne sono viste poche: governi di marca PD. O Fedeli/Gentiloni stavano a destra?
Noi insegniamo ai nostri ragazzi la cittadinanza, la laicità e l’argomentazione. Significa criticare senza risparmio laddove un’evidenza si impone al nostro punto di vista come becera (vedi educazione civica, tutor, voti numerici e altre facezie). Ma non significa aspettare al varco l’avversario e colpire qualsiasi cosa dica o faccia. Non è un buon viatico educativo, perché rende le vacche tutte nere come di notte.
“Non sarà un esame di serie B”

Circola questo proclama del nostro Ministro in questi giorni, non nuovo per la verità. Sempre i ministri hanno proclamato la serietà degli esami, ma nel contesto attuale – come già lo scorso anno – l’enfasi prodotta sembra ancora più incisiva. Una lettura impertinente però mi induce un interrogativo decisivo: come sarebbe un esame di serie B? Meglio: da cosa si evincerebbe che si stia giocando in serie B? E ancora: come potrebbe il Ministro determinare che tutti giochino in serie A? Manderebbe ispettori? Ispettori che si inserirebbero tra una domanda e l’altra del colloquio? Per renderlo più impegnativo? Oppure che tirerebbero le orecchie ad eventuali presidenti compiacenti? E ancora: la serietà di un esame da dove si vedrebbe? Dalla qualità dell’interlocuzione con gli studenti (processo)? Oppure dal punteggio finale (esito)? Come farà il Ministro a giudicare che si è trattato di un esame di serie A?
Non si sfugge mai alla sensazione che gran parte di queste dichiarazioni pubbliche abbiano più valore simbolico-mediatico che sostanziale. E che quindi l’analisi del loro contenuto debba muoversi, piuttosto che sul terreno della loro applicabilità, sul terreno dell’implicito emotivo che sottendono.
In Italia da tempo si dibatte sul senso del valore legale del titolo di studio. A questo dibattito, sempre da tempo, si affianca la riflessione sul nesso tra il contenuto dei nostri diplomi e le competenze effettivamente necessarie nei contesti lavorativi. L’elevatissima percentuale di promossi, ogni anno, fa storcere il muso peraltro a tutti i fautori della meritocrazia che vedono nell’esame ormai ex-maturità una pantomima senza alcuna attendibilità. Insomma, anche se si continua a dire che si tratta di una prova importante per i ragazzi, quasi una iniziazione alla vita post-scolastica, sono pochi disposti a riconoscere che in fondo la probabilità di esser bocciati a questo esame è molto remota.
È in questa cornice che probabilmente si inserisce il proclama ministeriale. Qui si fa sul serio, non si fanno esami di serie B. Nessuno pensi che l’esortazione ministeriale a essere comprensivi e la predisposizione di un esame con una sola prova orale significhi che il ministero voglia fare una sanatoria! Sarà un esame di serie A, dunque, è il messaggio. Che qui a questo punto riformulo: siate comprensivi ma non siatelo troppo. Comprendete che i ragazzi hanno vissuto un’annata complicata, ma non esagerate in questa comprensione.
In soldoni: quando il nostro alunno si accomoderà per sostenere la prova quale sarà il nostro atteggiamento? Empatico? Sì ma senza esagerare. Esigente? Sì, ma senza esagerare. E se sbaglierà le risposte? Tentare ancora? Sì, ma senza esagerare. E il voto finale? I bonus? Le lodi? Tutto senza esagerare né nel bene né nel male. Perché non può essere un esame di serie B, ma neppure la Champions. Dev’essere un esame di serie A, ma di media classifica. Non possiamo pretendere che giochino Inter o Milan, ma magari Sassuolo e Verona. Che navigano in acque tranquille e non rischiano di retrocedere in serie B.
Siete nella Storia
È stata sobria la Ministra. Se a soli 38 anni mi avessero fatto ministro, se ripenso a come ero a 38 anni, sarei stato molto più esagerato. Non avrei detto “Siete nella storia”. Avrei detto siete nell’Empireo, nell’ eterna beatitudine di chi non ha più niente da chiedere alla vita perché dalla vita ha ricevuto tutto ed è sazio di giorni e di esperienze. Altro che nella Storia. Invece la Ministra si è fermata alla Storia, che può soggiacere, come ci insegna Foscolo, all’oblio.
Ma non è detta l’ultima parola. Sempre sulla falsariga del poeta dei Sepolcri, c’è sempre qualche possibilità di restarci a lungo nella Storia, soprattutto per coloro che compiono “egregie cose”. E quali cose più egregie possono esserci nell’aver praticato la “resilienza” (sempre la Ministra) in quel periodo terribile di lockdown, lì, ammassati senza distanziamento all’interno dei rifugi antiaerei sotterranei, oppure, sempre senza distanziamento, sui barconi stracarichi sempre a rischio di affondare, o ancora in una baracca perché il terremoto si è portato via tutto.
La resilienza di questi nostri ragazzi merita davvero l’ingresso trionfale nella Storia.
Che dire? La Storia è davvero una passione di questi nostri ministri dell’istruzione meteora. Da anni credo che non se ne sia visto alcuno che non l’abbia invocata, così come la invocano i loro partiti di riferimento. I Cinquestelle in questo sono maestri – vedi abolizione della povertà – , forse perché avvertono oscuramente che la Storia li spazzerà via e senza tanti ringraziamenti. Per loro la Storia è davvero un pensiero ricorrente.
Chissà che però, magari raggruppati insieme in un paragrafo, questi ministri possano beneficiare di un posticino in qualche manuale di storia della scuola italiana. Lavorare sul titolo del paragrafo può essere un bell’esercizio interpretativo.
Colloquio di Esame: Norma o Fantasia?
In attesa di una trattazione più organica, che non farò mancare, continua la mia segnalazione delle stupidità e delle letture abusive (tipo il noto e non noto) che si vedono in giro, sempre in tema di Maturità (per dirla all’antica).
“Nel colloquio non si devono fare domande”. Pensavo potesse esserci un limite alla comicità. Eppure ci sono colleghi, commissari e presidenti, che questo sostengono in questi giorni. Una cosa che si chiama “colloquio” diventa un soliloquio. Il che vuol dire che se l’allievo si blocca dopo 30 secondi e nessuno parla magari per aiutarlo a rientrare, reciteremo il suo de profundis. Art. 19 dell’ OM 205. Non è difficile. Basta un minuto per leggerlo. Fatelo signore colleghe e signori colleghi fantasiosi. E poi, più in generale, ricordate………
Perché la scuola italiana si è ridotta così?
Buste colloquio: noto o non noto?
Questi sono i mistici giorni delle Interpretazioni. I ragazzi trepidano perché non sanno cosa troveranno nelle famigerate buste del colloquio. Un artigianale monitoraggio dei lavori delle commissioni fa vedere quanto già profetizzato: che ci mettiamo? Cose note o non note? Che dice l’Ordinanza? “In coerenza col Documento del Consiglio di Classe”. E che vorrà dire? E da qui faq, linee guida, conferenze di servizio. Risultato: chi ci mette l’argomento studiato durante l’anno e chi lo evita ma mette qualcosa che lo richiami. Noto o non noto? Ma se fosse noto, che pericolo ci sarebbe? E se fosse non noto che vantaggio ne avremmo?
La verità è che si brancola nel buio tutti. Legislatore incluso. E’ chiara solo la pars destruens: basta con la terza prova e con la tesina. E forse un pizzico di pars construens: basta col nozionismo. E poi? Lo diranno i posteri e i poveri ragazzi che dovranno pregare i santi di trovare docenti intelligenti e… trasversali!
Colloquio di esame: l’imminente Babele
Ormai è chiaro. L’Ordinanza sugli Esami di Stato delle superiori aveva la funzione di mettere alla prova le capacità interpretative della scuola italiana. Sul colloquio ormai non si contano più quelli che dicono “è così”, “si farà questo” o “si farà quello”. Ho incontrato decine di dirigenti e docenti che dichiaravano di sapere perfettamente che la busta si gestisce così, che i commissari faranno questo e quello, che ci saranno le tematiche e i percorsi. Tutti sicuri di sé. Delle loro interpretazioni. Perché poi, a spulciare l’Ordinanza 205 (a proposito: gente seria, portatevela appresso agli Esami!), si scopre che la metà delle cose sbandierate non solo come “sicure” ma certamente “da farsi” il legislatore non se l’è mai sognate.
Dunque è evidente che se questo colloquio è in balìa del trionfo delle interpretazioni – sotto forma di slides ministeriali, conferenze di servizio, linee guida, chiacchiera varia e quant’altro – vorrà dire che il dettato normativo ha mille punti oscuri. E che conseguenze avrà tutto questo? Molto facili da prevedere: chi avrà più forza “ermeneutica” farà dire al legislatore quel che vuole. Sarà una questione di forza: “lei stia zitto, sono io il presidente!”. Già lo capivano gli antichi Greci: quanto più la legge è incerta e soggetta a interpretazioni, tanto più vige la legge del più forte. In fondo è un sottile passaggio dalla legge scritta alla legge orale. O scritta in modo incomprensibile. Di memoria manzoniana. Inquietante arretramento della civiltà giuridica. Perfettamente coerente con i tempi che viviamo……
Il legislatore sibillino
Impazza il toto-buste per il colloquio degli Esami di Stato del secondo ciclo. Le scuole sono in fibrillazione perché non sanno come gestire la nuova procedura, e naturalmente impazzano le interpretazioni spacciate per dettato normativo. In realtà molte cose il legislatore (OM n 2052019 , art. 19) le lascia all’autonomia delle scuole, ma si sa che l’autonomia risulta sempre alquanto indigesta ai docenti, che vanno in cerca di format ed indicazioni precise “dall’alto”. Pertanto i dirigenti tecnici degli UU.SS.RR., per evitare che l’autonomia si trasformi in anarchia, fanno conferenze di servizio ma il limone normativo é quello e di più non si può spremere.
Qui tento di precisare quel che il legislatore non dice e che è vano fargli dire per desiderio di uniformità.
- Il legislatore non dice quanto materiale ciascuna busta deve contenere e di quante discipline esso sia rappresentativo. Parla solo di “materiali” in senso generico, che non possono essere riproposti in successivi colloqui (comma 5). Essi saranno soltanto “spunto di avvio del colloquio” (comma 2).
- Il legislatore non pronuncia mai in tutta l’ordinanza la parola “tematiche”, che invece è la parola d’ordine diffusa nelle scuole e nei siti.
- Il legislatore non usa mai l’aggettivo “trasversali” se non in relazione alla ex alternanza scuola-lavoro (“percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”). Utilizza “pluridisciplinari” e “trasversali” come sinonimi? Bisogna chiederglielo.
Aggiungo dal comma 3. I mitici “materiali” sono scelti con un obiettivo: “favorire la trattazione dei nodi concettuali caratterizzanti le diverse discipline”. Mettiamoci nei panni di una commissione. Busta numero 1: cosa ci mettiamo? Mettiamoci delle cose che permettano di trattare i nodi concettuali delle diverse discipline. Nodo concettuale: Questione critica? Concetto-chiave? Riferita a che cosa? Alla singola disciplina? O a un grumo di discipline? Mistero epistemologico.
Alla ventesima lettura della norma, pare di potere dire che:
- Si preparano x buste più due. Dentro ci si mette quel che si ritiene più opportuno per fare iniziare un colloquio. Se ci si mette una sola poesia di Montale, si sta nella norma. Qualsiasi cosa ci si metta deve essere roba affrontata dagli studenti e indicata nel Documento del 15 maggio.
- Chi fa la prima domanda? Non si sa. Ma riguarderà, nella fattispecie, la poesia di Montale. Italiano.
- Gli altri acchiapperanno il “nodo concettuale” e si inseriranno per passare (quando? come?) dallo spunto di avvio ad una “ampia e distesa trattazione di carattere pluridisciplinare” (comma 2). Lo studente dovrà (comma 1): 1. Analizzare. 2. Dimostrare di avere acquisito. 3. Utilizzare e mettere in relazione conoscenze. 4. Argomentare in maniera critica e personale. Auguri.
- La relazione sull’ex alternanza. Liscio.
- Due chiacchiere su Cittadinanza e Costituzione. Liscio.
- Esame delle prove scritte. Liscio.
Non facciamo dire al legislatore quel che non ha voluto (o saputo) dire. Condurremo il colloquio col buon senso di sempre. “Evitando le rigide distinzioni tra le discipline” ma facendo in modo che il loro coinvolgimento “sia quanto più possibile ampio” (sempre comma 2).
Se e come questa palingenesi epistemologica possa accadere, lo scopriremo solo tra qualche mese.
La contemporaneità oscura
Questo articolo della politologa Sofia Ventura ricostruisce le vicende della politica italiana dell’ultimo quarto di secolo. Lo fa utilizzando alcune parole quali “populismo”, “antipolitica”, “rottamazione”, “corruzione” che costituiscono l’ossatura di un discorso sulla contemporaneità politica. I documenti sulla scuola risuonano pomposamente di altre parole quali “cittadinanza”, “Costituzione”, “partecipazione”, “identità”. Leggendo questo articolo moltissimi insegnanti, da me stimolati, mi hanno confidato il loro scetticismo non tanto sulla possibilità che la nostra storia più recente possa essere oggetto di discussione in classe, quanto sulla possibilità che la stessa storia sia addirittura conosciuta dai docenti delle nostre scuole.
E in realtà il sospetto é forte, a giudicare dalla chiacchiera frivola che spesso é dato ascoltare nelle sale professori e dalle competenze dei nostri ragazzi sull’ultimo quarto di secolo della nostra storia.
I nostri esami di Stato si attorcigliano tra fascismi, nazismi e guerre mondiali. Al più discutono di guerra fredda. Il resto é oscuro. E ogni generazione di insegnanti continua a sottrarre alla generazione di alunni che le tocca le vicende che essa stessa o non comprende o non ha vissuto. Alla faccia della cittadinanza.