Ma non chiamiamola Didattica

(Abbiate fede … il bello é nell’ultimo link)

Della Didattica con la D maiuscola non si parlava più. Al centro si erano accampate le valutazioni di sistema, l’Invalsi, l’Alternanza, le questioni del Merito. Stavamo tutti dentro gli echi della 107, e tutti si erano dimenticati di lei. Ci voleva il Covid-19 per fare risorgere la didattica, o meglio la riflessione seria su quello che vuol dire insegnamento, conoscenze e apprendimento. Come sempre accade, si prende coscienza dell’esistenza di qualcosa quando questa scompare. E in effetti, scomparendo gli alunni, ci si è accorti che la Didattica non può che eclissarsi, lasciando quale simulacro di sé un’altra cosa in cui il nobile costrutto “a distanza” rappresenta il sedativo che non fa avvertire il dolore della dipartita della parola che precede.

L’articolo più stimolante che ho fin qui letto è quello di Stefano Stefanel che invito a leggere con attenzione. Nonché il bellissimo documento del CIDI. Tra le tante cose che dicono, ci vedo il filo rosso che ho cercato di tenere nei miei post precedenti (basta scorrere). Che si sintetizza in questo modo: la scuola a distanza coprirà l’emergenza ma non è scuola, e le videolezioni, maxime se riproducono il trasmissivo/erogativo già noto in presenza (ed é difficile che non lo facciano, anche per ragioni di competenze tecnologiche), non sono scuola. La cosiddetta didattica a distanza, quale mera trasposizione della didattica in presenza, acuisce quel che c’è in quest’ultima: gli studenti bravi restano più o meno bravi, quelli più in difficoltà cadono nel baratro. Alla faccia dei monitoraggi ministeriali. I docenti già efficaci in presenza grosso modo restano tali, i docenti problematici in presenza diventano un disastro a distanza. E già si vede. Il vino nuovo in otri vecchi fa scoppiare gli otri.

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Ma c’è purtroppo dell’altro, che un blog di resistenza umana non può ignorare, ovvero il proliferare incontrollato di soggetti già perniciosi in presenza, e ora devastanti a distanza, che avvelenano il quadro con il loro irrefrenabile culto dell’Adempimento. Sono i burocrati della conoscenza. Nell’ordine:

1. Quelli che lo dice la legge.

Ho elaborato una breve scheda a beneficio di coloro, tra cui zelantissimi dirigenti, che confondono il giuridico col deontologico. Cominciando da una presunta registrazione di assenze e presenze degli alunni che nessuna nota ministeriale ha mai prescritto e che qua e là nelle scuole si vede spuntare.

2. Quelli che si deve rimodulare la programmazione.

R-i-m-o-d-u-l-a-r-e. La parola è seducente, e diversi dirigenti già vogliono le carte r-i-m-o-d-u-l-a-t-e. Di che si parla? Del fatto che a distanza potremo fare meno scuola? E che quindi bisogna d-i-c-h-i-a-r-a-r-e che faremo questo o quell’argomento in meno? Qualcuno ha mai constatato in tempi normali l’effettiva congruenza tra dichiarato ed agito, che questa mitica rimodulazione suppone essere perfetta? Con due sole settimane di cosiddetta didattica a distanza il docente rimodula. Chi ha mai visto una scuola così perfettamente programmatoria in Italia?

3. Quelli che si deve valutare.

Ci sono schiere di docenti che se togli loro la valutazione non ricordano più qual è il loro mestiere. Occorre esprimere solidarietà verso questi drammi umani. Scalpitano. Anche alle primarie. La cosiddetta didattica a distanza per loro è pericolosissima perché introduce una cosa che si chiama “valutazione formativa” (uovo di colombo) e che non si esprime, tragicamente, con voti. Il rimedio è presto pronto: facciamo una bella dose di valutazione formativa così poi la possiamo trasformare in Voti. E finalmente torniamo a fare le cose come si deve. La scuola senza voti per alcuni non é scuola. Mentre per questo blog é vera scuola .

4. Quelli che il programma non si potrà finire.

Pace all’anima loro. Mi rallegro per i loro alunni.

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Tante volte ho avuto occasione di segnalare il tasso seduttivo che ha l’Adempimento in un certo genere di insegnante ansioso e pertanto invincibilmente burocratico. L’Adempimento è sinonimo di Certezza, e la manifestazione di questa certezza è il Dichiarato. In tempi di assoluta incertezza su tutto, il pretoriano (o la pretoriana) che vive nel docente burocratico va in cerca di spazi sicuri per sedare la propria ansia. E sappiamo bene che le comfort zones di questo genere dell’umano scolastico sono ben rappresentate da registri, verbali, griglie, presenze/assenze, voti. È un trionfo di Sistemi di Registrazione del Caos, e basterebbe leggere qualche circolare emanata dentro le scuole in questi giorni per accorgersi del titanico tentativo di fare esegesi impossibili dell’assoluto Incerto contenuto nelle note ministeriali e nelle parole suadenti della ministra, che manda lettere bellissime da cui non puoi trarre, caro collega pretoriano, uno straccio di adempimento.

Solo pochissimi sono – siamo – a proprio agio dentro l’Incertezza, perché già in tempi non sospetti avevano assunto questa prospettiva quale cifra non occasionale né emergenziale ma strutturale dei processi dell’insegnare e dell’imparare, e hanno, sempre in tempi non sospetti, preso le distanze da ogni delirio quantitativo e docimologico.

Auguriamo pertanto pronta guarigione agli infettati dal Neocovid-20 dell’Adempimento e diamo l’ultima parola a quelli che hanno davvero capito tutto, cioè gli studenti.

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Informazioni su Muraglia

Insegnante, blogger di servizio

Pubblicato il 31 marzo 2020, in Educazione e scuola con tag , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 3 commenti.

  1. Sono in trincea, spassosissimo post. Sei praticamente il mio alter ego. Devo dire che dopo 34 anni di scuola critica non sono minimamente contagiato dal virus Neocovid-20 dell’adempimento, anzi mi sto divertendo nel provocare coloro che ne sono irrecuperabilmete affetti. Ma anche a cercare di tranquillizzare i non portatori che in questa fase è possibile apprezzare quella che potrebbe (o potrà) essere la scuola vera se liberata dalle sovrastrutture. Quello che dici sui casi deboli è vero solo nei casi di didattica a distanza che cerca di ripetere gli stessi schemi della didattica in presenza. Perché gli alunni deboli che riescono prtecipare e che sono immessi in un ambiente formativo e in piccoli gruppi si divertono, apprendono e rendono piacevole il lavoro anche del sottoscritto. Quelli che non si sforzano di partecipare pur potendo in condizioni normali strebbero solo a rovinare l’atmosfera e a dar fastidio. Con ogni probabilità vivono in un contesto in cui nonostante il lavoro del singolo, del consiglio o di tutta l’istituzione, si dà pochissima rilevanza alla scuola e allora non sono né io da solo, né può essere tutta l’istituzione scolastica messa assieme a poter risolvere un caso di deficit socio-culturale (non necessariamente economico). Quelli che non possono accedere per qualche forma di tecnhnological divide, ma farebbero qualsiasi cosa per riuscire a rimanere nel circuito educativo, in massima parte sono riusciti a rientrare, e comunque sono gli unici, nel caso non riescano ad avere tutti i canali di comunicazione, ad essere veramente tagliati fuori. Ma lo sarebbero con ogni probabilità anche nella scuola delle adempienze che non sa riconoscere l’incertezza strutturale e non riesce a muoversi se non seguendo un programma. Si adeguerebbero al sistema delle prescrizioni e delle certezze fasulle.

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  2. Grazie. Mi conforta sapere che c’è ancora chi riesce a parlare di scuola in maniera lucida e propositiva.

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  3. Cristiana Caserta

    Caro Maurizio,
    Ho letto con interesse vero il tuo post. Mi colpisce il tuo tono ironico… io non sono per niente certa su come procedere, prendo sul serio tutti i tentativi. A mio modo di vedere niente ci impedisce davvero di usare la didattica a distanza non per sostituire quella in presenza ma per sfruttare le molte possibilità che la tecnologia offre: dal reperimento delle informazioni, alla loro verifica e censimento, dall’esplorazione di strumenti, alla creazione di contenuti…

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