É risorta la valutazione formativa

Avevo detto che non sapevo se il terzo sarebbe stato l’ultimo. In realtà credo occorra andare avanti con la riflessione. Aggiungendo un (prevedibile) mantra di queste ore: la valutazione. Come al solito, entra in gioco il gioco delle fonti, che gioca a mischiare le carte. Tra note ministeriali, siti scolastici, circolari dei DS e chat impazzite dei docenti e dei dirigenti vien difficile trovare qualcuno che non dica “si deve fare…”, “hanno detto…”, “è previsto che….”, come se per agire, anziché rovistare nella propria testa ed esperienza, si abbia sempre la necessità di appoggiarsi ad una fonte. Beninteso, le fonti sono preziose per evitare l’autoreferenzialità. Sono invece perniciose se finiscono per fungere da sedativi ed inibitori del pensiero autonomo.

Dunque, l’ultimo arrivato sembra la valutazione formativa. Chi negli ultimi trent’anni ha letto qualcosa su questi temi salterà. Come l’ultimo arrivato? Sì, arrivato per ultimo come tante cose che spuntano come virtù quando si accampa la necessità. Questo blog almeno negli ultimi cinque anni non ha fatto che denunciare il delirio docimologico che ha preso la scuola italiana, con una netta prevalenza delle attitudini comparative, quantitative, docimologiche e sommative degli insegnanti, sempre sedotti dalla chimera dell’Esattezza e dell’Oggettività.

Oggi il virus ha abbattuto il Sommativo perché la didattica a distanza esclude questa possibilità, così come autorevolmente evidenziato da chi si intende di normativa. Niente voti, punteggi, medie ed altri totem cari a tantissimi insegnanti, soprattutto nella secondaria. E che rimane? Senza la matematica, che rimane? Ed ecco rispuntare la valutazione formativa, su cui si diffondono esperti e osservatori presenti qua e là nel web.

Che dire? Quanto già evidenziato in un post precedente: che quanto non si realizza per virtù non può realizzarsi per necessità. La valutazione formativa non è una tecnica, non è una procedura. É un fatto culturale. Un fatto di cultura professionale, un’ interpretazione professionale del momento valutativo quale momento formativo, appunto, cioè euristico, negoziale, intersoggettivo. La valutazione formativa si fa insieme agli alunni, ma non nel senso di “fare conoscere gli obiettivi” o “dichiarare i criteri”. Sa molto, questa impostazione, di elargizione. Si tratta di cercare insieme ai ragazzi – sì, sono “lezioni” anche queste – le soglie che servono per qualificare un apprendimento. Cercarle insieme – anche quando la pigrizia intellettuale dei ragazzi fa resistenza – significa assumere con forza l’idea che la verifica non è un atto di controllo del docente ma un bisogno formativo del discente. Come dire che, in una prospettiva in cui il verificare ed il valutare non assumono i contorni del controllo e della sanzione, sono gli alunni stessi a gradire sommamente occasioni in cui constatare che cosa sta accadendo alle proprie conoscenze.

É una rivoluzione epistemologica. Non è avvenuta in questi decenni, fin da quando scienziati dell’apprendimento come Mario Comoglio hanno iniziato a ragionare di queste cose. A prendere le distanze da ogni forma di testificazione del sapere e di matematizzazione della valutazione. Il mondo è andato da un’altra parte. E tanti dirigenti e docenti, si sa, vanno appresso alle chimere dell’Esattezza, cioè quel che mette al riparo dai ricorsi e dalle contestazioni delle famiglie assetate di cifre (quelle dei più bravi, ovviamente). Quel che chiude la bocca ai ragazzi, perché figurati se puoi discutere la perfetta oggettività di un bel 5,73, che non è “6”, quindi signora lo faccia seguire.

Sotto dunque con la valutazione formativa, che giunge al capezzale della didattica frontal-nozionistica agonizzante non per colpa del virus ma per colpa della lotta al virus. Sbucheranno da domani ragionamenti che enfatizzeranno l’attenzione, l’impegno, l’interesse, la partecipazione, la motivazione, il coinvolgimento, la metacognizione, la cooperazione e tutta quella roba che in presenza viene utilizzata per salvare dal baratro gli sfigati col 5,73 allo scrutinio di giugno, ma a distanza diventa improvvisamente l’ultima trincea in cui posizionarsi per valutare il rendimento dei ragazzi.

Un giorno forse ringrazieremo questo COVID-19 per averci fatto uscire tutti dalla caverna platonica.

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Insegnante, blogger di servizio

Pubblicato il 17 marzo 2020, in Educazione e scuola con tag , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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