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Almeno i bambini lasciateli in pace….
Della prosopopea sul merito nella scuola non se ne può più. Ora anche un progetto con la benedizione del Ministero (http://www.mimerito.it/it/). Rivolto alla scuola del primo ciclo!
Vien da urlare. Ma molto meglio di me lo fanno, in modo diverso, il Direttore di “Insegnare” Mario Ambel, (http://www.insegnareonline.com/rivista/editoriali/medaglia-merito) e Antonella Reffieuna (http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2014/2/17/SCUOLA-Mimerito-il-progetto-che-distrugge-l-entusiasmo-dei-bambini/468463/), da due fronti che certamente non sono abituati a camminare mano per mano…
E’ una deriva pedagogica incontrollabile. Quel che rattrista è che a benedire queste cose siano anche psicologi e pedagogisti. Siamo messi benissimo…..
Le verità che nessuno scrutinio dice….
“Ma potrebbe fare di più”. E’ la frase che molti genitori ricevono dal docente che ammorbidisce il giudizio non positivo sullo studente. La frase è un tormentone e nasconde una verità lapalissiana: nella scuola italiana le intelligenze emergono con difficoltà. I ragazzi intelligenti ed emotivi si stancano quando la comprensione cioè il prendere con sé i saperi privilegia la ripetizione unidirezionale come è proposta dall’insegnante e dal testo, quando il proprio carattere non risponde emotivamente al raggiungimento di risultati. La risoluzione di quesiti e problemi matematico-scientifici permette a queste menti di esprimersi meglio, ma occorrono tempi e strumenti adeguati altrimenti queste discipline risultano ancora più irraggiungibili. E’ semplice e comodo per docente e allievo ripetere un testo con contenuti già preparati, il ragazzo intelligente è avverso a questa formula che si presenta noiosa perché non altera la sfera della sua sensibilità. La scuola italiana privilegia studenti volenterosi su discipline obsolete. Stimolare l’emozione di comprendere è il primo capitolo che ogni docente dovrebbe svolgere. Quando sentiamo dall’insegnante la frase “…ma potrebbe fare” questo capitolo non è stato svolto.
Gabriele Fraternali
Insegnante di Chieti
“La Repubblica” Lettere domenica 2 febbraio 2014
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Questa lettera, inviata da un collega abruzzese al quotidiano “La Repubblica”, mette con semplicità e chiarezza il dito sulla piaga. E val la pena proporla in tempi di valutazione quadrimestrale e di ricevimenti genitori. Perché? Perché dice le verità valutative che nessun registro elettronico può dire (gustosissimo l’intervento di Mario Ambel su http://www.insegnareonline.com/rivista/editoriali/scrutini). Verità che hanno a che fare non col momento del voto – ovvero col momento più bugiardo sui processi dell’apprendere – ma col momento in cui si traffica il sapere in classe. Certo che l’alunno può fare di più ma l’insegnante non potrebbe fare di meglio? (https://mauriziomuraglia.com/wp-content/uploads/2011/02/fare-di-pic3b9-o-fare-di-meglio.pdf)
MM
La sfida educativa
Sabato 11 e domenica 12 gennaio a S.Giovanni La Punta (CT) si è svolto il Convegno Regionale Agesci cui ho avuto il piacere di essere invitato insieme al costituzionalista Luigi D’Andrea e al teologo Nello Dell’Agli per delineare alcuni scenari introduttivi in ordine ai temi della politica, della fede e dell’educazione. Evento denso di emozioni e di entusiasmo, ma anche di contenuti. Qui il mio intervento, come pubblicato dal sito diocesano della Pastorale della cultura.
Così almeno parlano di noi…..
Lo abbiamo scritto e lo ribadiamo. Così come la vediamo ormai da vent’anni è una pagliacciata. E lo è non perché consideriamo i nostri ragazzi dei pagliacci. Non lo sono. Chi sta con loro tutte le mattine lo sa. Pagliaccesco e noioso è questo occupare-non occupare, nero, bianco, grigio. Questo mostrare i muscoli senza pagare pegno perché nessuno oggi in Italia osa fare quel che si faceva con gli studenti del ’68. Conflitto zero. Lasciamoli sfogare un po’. Ho avuto modo di conversare con alcuni di loro. Non mi appartiene il paternalismo, ma a volte ti fanno davvero compassione. Non ti guardano mai negli occhi. Sanno di non sapere ciò di cui parlano e sbraitano. Non hanno compreso che la benevolenza delle forze dell’ordine nei loro confronti è funzionale. Nel senso che rinunciano ad essere “forze” e rinunciano a ristabilire l’ “ordine”. Non hanno capito che il metodo becero che adottano da anni è il più efficace per mandare in rovina proprio ciò per cui dichiarano di lottare. Conosco alunni che ormai hanno 30 anni e hanno fatto le occupazioni all’inizio del terzo millennio. “Prof, lo facevamo per fare vacanza, a quell’età uno non è che ragiona e fa quello che gli passa per la testa….”. Oggi chi parla così di mestiere fa il poliziotto: “non possiamo fare niente…possiamo intervenire solo se c’è qualche disordine”. Una mamma mi racconta che qualcuno di questi irriducibili di un liceo palermitano le avrebbe confidato: “così almeno i nostri genitori si fanno vedere….”. Senza parole.
Oggi il fronte si va sfaldando. Hanno ottenuto di arrivare fino all’Immacolata. Niente altro. O forse (in)volontariamente hanno ottenuto di fare discutere i grandi su di loro. Riporto due modi diversi di discutere di questa cosa.
Nessuno dei due è il mio, ma ritengo utile disporre di uno spettro più ampio di sensibilità per mantenere viva l’attenzione su questi temi ben oltre il panettone….
Buona lettura.
BES….ciamella
La besciamella è uno di quei preparati che pur essendo fatto di diversi ingredienti finisce per essere la base per l’elaborazione di varie pietanze. Le scuole italiane da quasi un anno sono state investite di un problema che viene chiamato BES (Bisogni Educativi Speciali): si tratta dell’invito ministeriale ad elaborare interventi personalizzati per fronteggiare non più soltanto i tradizionali DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), ma anche un ampio ventaglio di disagi che caratterizza la nostra popolazione studentesca. Si vuole uscire dalla logica della “certificazione” per entrare in una logica diagnostica nuova, capace di individuare sia il “disturbo evolutivo specifico”, che ancora chiama in causa un livello clinico, sia – e qui è il bello – il “disagio sociale” e lo “svantaggio socioculturale”. I documenti ministeriali enfatizzano l’attivazione del livello psicopedagogico e didattico. La besciamella è pronta, fatta di alunni certificati, alunni diagnostizzati ed alunni….svantaggiati o disagiati. Dovrebbero restarne fuori poche decine beati loro….. Adesso con questa occorre predisporre interventi – pietanze – ispirati alla logica dell’inclusione. Le scuole devono disporre di un Piano Annuale per l’Inclusività.
Il piano di realtà (ovvero scoperta dell’acqua calda) deve assurgere al piano del discorso istituzionale (e burocratico, come si vede nella frenesia personalizzante di alcune scuole). Le scuole sono chiamate ad “accorgersi” degli alunni che esprimono bisogni educativi speciali. Ed attrezzarsi. Con la besciamella devi cucinare qualcosa. Cosa cucinare? Prima di rispondere a questa domanda occorre porsi dieci interrogativi:
- Non è la Costituzione che parla di “rimozione degli ostacoli”? Non ne parla dal 1948?
- Qualcuno è mai entrato in una classe di un Istituto Professionale del Sud?
- Qualcuno ha mai provato a scrivere un piano personalizzato? E a realizzarlo in una classe?
- La scuola italiana, soprattutto nel secondo ciclo, può considerarsi una scuola inclusiva?
- Se no, bastano alcuni dispositivi ministeriali per renderla tale?
- Qualcuno è mai entrato in una sala professori di un Liceo Classico e sentito parlare di alunni in palese difficoltà cognitiva ed emotiva? La scuola stessa può essere creatrice di BES? E in questo caso come interviene su….se stessa?
- Se un’intera classe dovesse presentare BES che si fa?
- Se un intervento personalizzato su un BES non va a buon fine che si fa? Si boccia l’alunno?
- Penultimo: che vuol dire “educativo”? Che riguarda la sfera del comportamento? Che ha a che fare con la motivazione allo studio? Col disinteresse? Col quadro ambientale?
- Ultimo: che vuol dire “speciale”? Che si distingue dal “generale” o dal “normale”? C’è una linea di confine ben demarcata tra normale e speciale? Ontologica? E un’ équipe di insegnanti è in grado di individuarla? Con quali strumenti?
La mia è un’opinione semplice in quattro punti. Eccola.
- L’assetto complessivo della scuola secondaria di primo e secondo grado, nel nostro Paese, non è mai stata attrezzata per una vera inclusione degli svantaggi socioculturali.
- Negli ultimi quarant’anni la scuola di massa, portatrice di questi svantaggi, è stata mal digerita dalla maggior parte degli insegnanti italiani, che generalmente aspirano a scolaresche ben attrezzate socialmente e culturalmente.
- I tagli devastanti all’istruzione vanno in direzione opposta ad una politica scolastica dell’inclusione. Con scuole che cadono a pezzi, cattedre a 18 ore, niente organico funzionale, niente figure di sostegno psicopedagogico, maestri unici, niente formazione in servizio, voti numerici anche nel primo ciclo, didattica per competenze all’anno zero, i Piani per l’Inclusività sono Libri dei Sogni. Quindi bisogna decidersi.
- Se si facesse semplicemente una scuola del curricolo (“cosa stanno imparando?”) piuttosto che una scuola del programma (“dove sei arrivato?”), l’inclusione sarebbe cosa fatta senza alcun bisogno di direttive e note. Ma il curricolo sta nella cultura professionale degli insegnanti italiani?
Buona cena.
Qui tutto ciò che serve per farsi un’idea, anche opposta alla mia ovviamente!
La pagliacciata prenatalizia delle occupazioni
Hanno cominciato. E nessuno può fermarli. Non sanno di che parlano ma sanno benissimo perché parlano. Sanno che in generale qualcosa non va per loro e che se protestano potranno occupare la scuola. Ma non balzano più agli onori della cronaca perché i media li ignorano sempre di più. L’opinione pubblica li guarda con compassione. Ma loro non lo sanno perché non leggono i giornali dove pure vengono spernacchiati. Eppure pur non leggendo niente fanno assemblee per discutere dei problemi della scuola. Trionfo dell’aria fritta.
Purtroppo il vulnus è pesante in termini di istruzione sottratta.
L’ alunno “carente nei contenuti”
Chi è l’alunno “carente nei contenuti”? Nella scuola attuale. Ci abbiamo provato a riflettere? Io sì. L’ultimo mio intervento su “Insegnare” rivista digitale del CIDI:
http://www.insegnareonline.com/istanze/stereotipando/carente-contenuti
La scoperta dell’acqua calda
Il sito de “La Tecnica della scuola” ha pubblicato i risultati di un’inchiesta sulle scelte compiute da un campione di ragazzini lombardi in uscita dalla terza media.
Sull’onda delle riflessioni sulla presunta superiore “formatività” di un indirizzo di studi rispetto ad un altro – ospitate da questo blog – pare interessante riportare un passaggio istruttivo dell’inchiesta:
“Tra le 584 richieste di aiuto di ragazzini delle scuole superiori ricevute nell’ultimo anno dal suo ufficio (servizio orientamento del comune di Milano ndr), il 56 per cento proveniva dai licei classico e scientifico. Adolescenti desiderosi di cambiare indirizzo scolastico. «O i ragazzi fanno scelte non consapevoli – commenta Dell’Oro – oppure i genitori fanno troppe pressioni. Mi accorgo che spesso è vera la seconda, soprattutto quando si tratta di professionisti: ingegneri, medici, i più in difficoltà nell’accettare per i figli un corso di studi diverso dal liceo classico o scientifico e prevenuti addirittura anche verso i licei delle scienze umane».
«Si considerano gli istituti tecnici scuole di serie B. Ed è un paradosso. Perché chi ha un livello culturale medio-alto dovrebbe avere l’apertura mentale sufficiente a uscire da un sistema di gerarchie scolastiche del tutto opinabile. Anche gli istituti tecnici, se fatti bene, offrono la preparazione necessaria per frequentare l’università».”
La lettura di questo studio dovrebbe aiutare gli irriducibili sostenitori della superiore formatività di certi studi e di certe discipline a non attribuire agli oggetti di studio successi che invece vanno attribuiti al portafoglio (a parte eccezioni “proletarie” che in quanto tali sono confermative).



