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No a didattica per competenze, la petizione raggiunge 10mila firme. Adesso convegni in tutta Italia. (https://www.orizzontescuola.it/no-didattica-competenze-la-petizione-raggiunge-10mila-firme-adesso-convegni-tutta-italia/). Così titola Orizzonte scuola in questi giorni. Di questa petizione ho già discusso qualche settimana fa. Chi vuole può rileggersi sia il suo contenuto che il commento.

Val la pena probabilmente rivolgere qualche domanda ai diecimila e al loro mentore, il collega Carosotti, che chiede spazio per parlare, ma non lo ottiene come vorrebbe. Questo blog vuole ospitarlo. Carosotti, che insegna Filosofia, ce l’ha con la didattica per competenze. Bisogna riconoscergli il merito di avere chiamato a raccolta tanti scontenti, accademici e scolastici, che hanno generosamente firmato l’Appello. Lo scopo è quello di convincere il MIUR a recedere. Da che? Da tutto l’armamentario pedagogico-didattico che starebbe attorno alla didattica per competenze e che per i firmatari non avrebbe “fondamento scientifico”.  Si chiede “una moratoria su quelle attività obbligatorie o sui futuri provvedimenti che potrebbero rendere la svolta riformatrice irreversibile; e la ripresa di una discussione realmente ampia e partecipata”.  Si denuncia anche “la violenza linguistica con cui nei loro documenti è umiliata la pratica dell’istruzione, l’assoluta estraneità di questi esperti alla concreta vita scolastica, e alle vere problematiche degli studenti che i docenti si trovano quotidianamente ad affrontare”.

Chi segue questo blog sa bene che non sono state risparmiate critiche alla retorica pedagogica di certi documenti MIUR e all’enfasi su tutto l’armamentario docimologico che gravita attorno alle prove standardizzate, ai RAV e quant’altro. Al trionfo del Misurativo e del Quantitativo. Non siamo sospettabili quindi di pretorianesimo.

Carosotti invoca al posto della neolingua ministeriale un “serio dibattito intellettuale”.

Quand’è che un dibattito è serio, collega Carosotti?

Converrai che un dibattito è serio quando chi lo lancia mostra di conoscere a fondo i termini della questione. Anche normativi. Si parla genericamente di MIUR, ma mancano riferimenti precisi. E’ serio un dibattito quando, oltre a lanciare slogans sulla “cultura alta”, ci spiega bene che tipo di scuola vuole chi non vuole le competenze a scuola.

“A mio parere, comunque, l’accusa più paradossale che ci è stata rivolta è quella di avere separato artificialmente la nozione di “competenza” da quella di “conoscenza”, una critica debba invece essere rivolta proprio a chi in questi venti anni ha sostenuto la didattica per competenze.” (copio e incollo da Orizzonte scuola, mantenendo qualche criticità sintattica).

Caro Carosotti (perdonando l’allitterazione), il paradosso è apparente. Uno degli accusatori sono proprio io ed il rilievo è reale. Chi come te e quelli che ti hanno preceduto (due su tutti: Recalcati e Settis) ha voluto separare artificialmente conoscenze e competenze non ha reso un buon servizio proprio a quella cultura alta che vorreste rivendicare. Persino quel che hai messo in campo in questi mesi è una competenza, anche se ti ripugna chiamarla così. Aver saputo elaborare una piattaforma di idee sulle quali avviare un dibattito. Non ci saresti riuscito se fossi stato soltanto un secchione che ripete nozioni o un erudito da biblioteca. Delle tue conoscenze hai fatto riflessione ed azione. Le tue conoscenze si sono trasformate in competenze nel momento in cui hai voluto misurarti con un problema, o con quello che ritieni – insieme ai tanti colleghi sparsi per l’Italia – un problema. Ma due domande occorre farvele, noi scemi che tentiamo di insegnare per competenze e tentiamo di aiutare i colleghi a insegnare per competenze.

Prima domanda: perché a scuola avviene l’evento del conoscere? E’ privo di scopo? Seconda domanda: chi in tutta Italia si impegna per realizzare un insegnamento di questo genere, e si espone ad ore e ore di formazione, che fa? Gioca al suddito? In attesa della Liberazione?

Mi piacciono le stesse cose che piacciono a te. Il piacere della conoscenza, il dibattito con gli studenti, la ricerca condivisa, l’approccio critico ai problemi. Mi piace lo studente che rielabora quel che ha imparato. E cerco di insegnargli a imparare così. Io e diverse migliaia di docenti in Italia, sostenuti da ricercatori di altissimo profilo che tra i vostri firmatari non ci sono, chiamiamo tutto questo competenza culturale.  Magari tu vorresti chiamarlo obiettivo formativo. Ma il concetto ci unisce. E ripetuto questo concetto in mille ambienti professionali anche vicinissimi al MIUR, ho ottenuto consensi. Non c’è conoscere reale se poi non ci si misura con la vita, con l’esistenza. Carosotti, non è una questione di “pratica”. Le distinzioni platoniche tra theoria e techne non ci interessano. E’ una questione di esistenza. Sapere per vivere, per stare in questo mondo da cittadini attenti e critici. Sapere per pensare, eccome. Ma si pensa per vivere o si vive per pensare? Ad ogni modo il sapere per sapere lasciamolo ai quiz, che non piacciono né a te né a me. Alleiamoci, semmai. Non vogliamo un’accezione standardizzata e addestrativa di competenza? Alleiamoci. Non vogliamo un’ accezione deculturalizzata di competenza? Alleiamoci. Non vogliamo che il contenuto culturale venga svilito e curvato immediatamente sulla produttività? Alleiamoci.

Ma attenzione a chi sta nel tuo stesso carro dove io non mi sogno di salire, collega Carosotti. Perché tutti i giorni in sala professori te ed io ci imbattiamo in chi non vuole le competenze per ragioni la cui matrice pedagogica né tu né io potremmo condividere. Si tratta di chi vuole i contenuti ripetuti tali e quali dal libro di testo; si tratta di chi vorrebbe avere in classe soltanto bravi e motivati; si tratta di chi com’era-seria-la-scuola-di-una-volta; si tratta di chi ti-metto-due; si tratta di chi non ha idea di chi siano stati personaggi come John Dewey, Jerome Bruner, Maria Montessori, Mario Lodi, Lorenzo Milani. Questi te lo firmano l’Appello, Carosotti, te lo firmano subito. Ma non vogliono le stesse cose che vuoi tu.

Nel mio intervento del 15 gennaio sulla newsletter della Tecnodid ho già segnalato l’opportunità di avviare un dibattito su questi temi. Ma il dibattito a cui parteciperei volentieri (ma a cui non parteciperò mai perché non sono un accademico) non può riguardare l’abolizione della didattica per competenze, che mi pare la madre dei suicidi, quanto piuttosto la ricollocazione del concetto di competenza sul terreno che più gli… compete, quello della naturale e vitale evoluzione del conoscere umano.

 

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Informazioni su Muraglia

Insegnante, blogger di servizio

Pubblicato il 8 febbraio 2018, in Educazione e scuola con tag , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.

  1. Finalmente qualcuno che getta un ponte fra gli universi paralleli e (solo apparentemente) incomunicabili della conoscenza e della competenza. Trovo perciò estremamente lucida, e non scontata, la riflessione di Muraglia. L’ipotesi su cui poggia, tuttavia, non può essere semplicemente, come sembra, un fraintendimento concettuale sul termine “competenza”. Se questo termine, nel lessico ministeriale e nel modo di utilizzarlo in numerosi ambienti scolastici e di formazione del personale docente, non avesse soprattutto un’accezione “addestrativa” e di “risultato” estrinseco al conoscere, ma rappresentasse invece, come suggestivamente ritiene Muraglia, ciò che del conoscere è la “naturale evoluzione”, allora non assisteremmo al dibattito a cui stiamo assistendo. Il problema, dunque, esiste. E certamente la direzione verso cui impegnarsi, per affrontarlo, è rappresentata dal recupero, suggerito da Muraglia, della valenza autenticamente culturale, piuttosto che esclusivamente pragmatica, della competenza. Lo direi così: le competenze non possono essere lo scopo dell’insegnamento, pena il suo snaturamento e il suo asservimento, ma solo un loro risultato. E non nel senso di un prodotto finito che può essere dissociato dal processo vitale del conoscere, ma, appunto, come sua “naturale evoluzione”. Grazie Maurizio

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