Archivi categoria: Attualità
Indelebile Nuccio Pulvirenti

Li chiamavano Ispettori, oggi sono Dirigenti Tecnici. Se n’è andato uno di questi, l’Ispettore Sebastiano Pulvirenti chiamato affettuosamente “Nuccio”, una di quelle figure che non si possono cancellare. Ho avuto l’onore di lavorare a stretto gomito suo per alcuni anni, senza essere, come si dice, “comandato” nelle stanze del potere scolastico locale. Ero un insegnante in servizio e basta. Portavo avanti il CIDI di Palermo. Quegli anni erano anni in cui le scuole siciliane avevano la sensazione di essere assistite. Erano gli anni immediatamente seguenti all’arrivo dell’autonomia, in cui credeva fortemente, e spesso ci si ritrovava insieme allo stesso tavolo a lavorare con i docenti. E con noi anche Giancarlo Cerini, suo caro amico. Devo a Nuccio Pulvirenti se oggi – per contrasto – ho imparato cos’è la tecnocrazia nella scuola, quel sapere per iniziati fatto di acronimi feroci (RAV, PDM, OSA, UDA, PTOF, PEI, BES……) col quale si fanno le conferenze di servizio ed i collegi nelle scuole in cui non si capisce niente e quelli che ci capiscono sono….lo staff. Con Nuccio le leggi e gli adempimenti erano avvolti da cultura, finezza intellettuale, linguaggio cordiale. Era il Cerini siculo. Le sue slides erano belle. Ci teneva lui alla bellezza con cui presentare anche contenuti aridi. Amava la letteratura e non concludeva mai un intervento senza una citazione. Mi disse una volta che avrei dovuto imparare a farle le slides, perché mi vedeva usare ancora la lavagna luminosa. Ha insegnato a generazioni di docenti e dirigenti la valutazione come compagna di strada per fare le cose meglio. La rete FARO ne è stata testimonianza. Ho un ricordo personale dolce, di persona mite, elegante, sempre tesa a sdrammatizzare, mai a giudicare, mai a darsi arie da uomo di potere. Lo rimpiange la scuola siciliana perché come lui, senza offesa per nessuno, non se ne sono visti più. E sempre meno, con l’aria che tira, se ne vedranno.
State buoni se potete (politically correct)

Che idea diffusa c’è sul “manifestare”, sul “dissentire”? Può esserci spazio per un politicamente corretto del manifestare? Certo ci sono delle regole cui nessuno può venir meno. Da un lato. Dall’altro c’è che l’indignarsi, a meno che non sia una buffonata, presuppone rabbia, sdegno, voglia di cambiare le cose.
Quanto ci si lamenta dell’apatia dei nostri ragazzi? Non si indignano per niente, sono indifferenti, sono abbarbicati al cellulare. Ma il mondo degli adulti davvero si lamenta di questo oppure sotto sotto lo benedice? La discussione dei docenti al momento del voto di condotta sembra esemplare. L’alunno che dissente dal modo di insegnare del docente difficilmente avrà “dieci”. Di più: c’è anche l’alunno un po’ “vivace” che paga pegno e magari si prende il suo “nove”, se non “otto”, perché ha subito qualche nota.
Siamo davvero convinti di desiderare alunni capaci di “esagerare”, che è quella situazione in cui ci si trova quando si è incazzati? Oppure abbiamo tanta voglia di alunni buoni, ubbidienti, diligenti, che rompono il meno possibile? Di quale immaginario si nutrono i cittadini?
La verità è che la nostra educazione resta tutto sommato perbenista e normalizzatrice. Sono rari gli insegnanti che col monello discutono. Tanti ancora sanzionano. Convinti che la sanzione sia un rimedio alla monelleria, ammesso che questa sia tale. La sanzione punitiva a scuola è legittima? Senza dubbio. Ma il criterio di legittimità sul piano educativo non sempre è il criterio vincente. Perché poi dietro presunte legittimità si nasconde il manganello.
Nell’immaginario educativo non ha ancora trovato posto un’idea di educazione dialogica, capace anche di rischiare che la monelleria abbia il sopravvento pur di mantenere la relazione. Insomma un’educazione non violenta.
State buoni se potete

I ragazzi manifestanti subiscono manganellate dalle forze dell’ordine. Indignazione generalizzata, persino dal Quirinale. Sacrosanta. Però occorre fare un passo ulteriore. Che idea diffusa c’è sul “manifestare”, sul “dissentire”? Può esserci spazio per un politicamente corretto del manifestare? Certo ci sono delle regole cui nessuno può venir meno. Da un lato. Dall’altro c’è che l’indignarsi, a meno che non sia una buffonata, presuppone rabbia, sdegno, voglia di cambiare le cose.
Quanto ci si lamenta dell’apatia dei nostri ragazzi? Non si indignano per niente, sono indifferenti, sono abbarbicati al cellulare. Ma il mondo degli adulti davvero si lamenta di questo oppure sotto sotto lo benedice? La discussione dei docenti al momento del voto di condotta sembra esemplare. L’alunno che dissente dal modo di insegnare del docente difficilmente avrà “dieci”. Di più: c’è anche l’alunno un po’ “vivace” che paga pegno e magari si prende il suo “nove”, se non “otto”, perché ha subito qualche nota.
Siamo davvero convinti di desiderare alunni capaci di “esagerare”, che è quella situazione in cui ci si trova quando si è incazzati? Oppure abbiamo tanta voglia di alunni buoni, ubbidienti, diligenti, che rompono il meno possibile? Di quale immaginario si nutrono anche i ragazzi delle forze dell’ordine, senza che necessariamente debbano avere avuto ordini dall’alto?
La verità è che la nostra educazione resta tutto sommato perbenista e normalizzatrice. Sono rari gli insegnanti che col monello discutono. Tanti ancora sanzionano. Convinti che la sanzione sia un rimedio alla monelleria, ammesso che questa sia tale. La sanzione punitiva a scuola è legittima? Senza dubbio. Ma il criterio di legittimità sul piano educativo non sempre è il criterio vincente. Perché poi dietro presunte legittimità (manifestazione non autorizzata ecc.) si nasconde il manganello.
Il poliziotto che manganella è figlio di un immaginario in cui non ha ancora trovato posto un’idea di educazione dialogica, capace anche di rischiare che la monelleria abbia il sopravvento pur di mantenere la relazione. Insomma un’educazione non violenta, quale magari i nostri giovani poliziotti non hanno ricevuto.
Annamaria, compagna di strada

Se n’è andata inaspettatamente Annamaria Adamo. Il dolore è grande. E il ricordo è doveroso. La ricorderanno in tanti preside della scuola media “Piazzi”, ma anche formatrice, esperta in processi cognitivi e disabilità. Una figura storica per la scuola siciliana, una donna militante, vibrante di spirito democratico, attenta alla politica e al sociale. Una donna di sinistra.
Per me Anna è stata una compagna di strada. Nel 1997 la presidente del CIDI Cristina Morrocchi volle rinnovare il Direttivo e chiamò lei e me a farvi parte. Ci conoscemmo in quell’occasione. Assunsi poi la presidenza del CIDI di Palermo dal 2004 al 2012 e la chiamai perché volevo che rientrasse (anni prima ne aveva fatto parte). Fui insistente. E cedette. Avevo bisogno della sua scienza e della sua esperienza e volli che mi affiancasse come vicepresidente. Una dirigente che fa la vicepresidente di un docente era davvero un paradosso. Solo lei poteva produrlo. Umile, fedele, preziosa sempre. Nel 2007 il CIDI rimase senza sede, e con generosità offrì la scuola che dirigeva. Tutt’ora la Piazzi è la sede del CIDI.
Otto anni gomito a gomito. Brutto carattere, si diceva qua e là. Certo, in tempi di politicamente corretto e di buonismo mieloso in cui non si riesce più a dire soggetto predicato e complemento senza giri di parole, Anna era un brutto carattere. Ma per uno come me era perfetta, perché sapevo sempre quel che pensava. Non la mandava a dire.
Con lei il CIDI di Palermo ha acquistato forza e prestigio, e a lei il CIDI attuale deve tantissimo. Per anni ha messo a disposizione delle docenti e dei docenti palermitani la scienza di Mauro Di Mauro, esperto di scienze cognitive e di metodo Feuerstein alla Ca’ Foscari di Venezia. I suoi corsi, frequentatissimi, hanno ispirato la didattica inclusiva di tanti insegnanti prima dell’invasione di BES e conseguenti PDP che hanno ormai ospedalizzato la scuola a causa della sfiducia dei genitori nella capacità inclusiva della stessa.
Compagna di strada. Di quelle che puoi voltare le spalle senza temere nulla. Di quelle che ti proteggono senza fartelo capire ma tu lo capisci lo stesso. Uno spirito apparentemente spigoloso, ma capace di infinita dolcezza e sconfinata generosità, come ben sanno i suoi familiari. Aveva una speciale sensibilità umana per tutte le forme di svantaggio e disabilità, come ben ricorderà il comune amico Maurizio Gentile. Legatissima ad Alessandra Siragusa, altrettanto a Giancarlo Cerini, figure che questo blog ha ricordato e che resteranno per sempre nella memoria della nostra scuola. Proprio come la nostra – e mi piace chiamarla come la chiamavano tutti – preside Adamo. Ciao Anna.








I nostalgici della Didattica in Mascherina


Sulla Didattica in Mascherina (DIM), mostro prodotto dal COVID insieme alla DAD, ho avuto modo di ragionare alcuni mesi fa. Le linee guida per il prossimo anno scolastico, com’è noto, riservano l’uso della mascherina a chi rischia forme severe di contagio. E nell’assistere alla riapertura del dibattito sulle misure di protezione dal Covid nelle aule scolastiche, continuo a restare sbalordito dalla disinvoltura con cui qualche infettivologo si lancia nella nostalgia della mascherina in classe. Nulla da dire: l’infettivologo fa un altro mestiere. Con tutto il rispetto, non ha idea di cosa sia scuola o insegnamento.
La DIM è un mostro. Può non riconoscerlo soltanto chi non opera a scuola, chi ha una concezione accademica, distaccata e algida dell’insegnamento o ancora chi non riesce a scrollarsi di dosso la fobia di contagiarsi e pertanto vorrebbe vivere isolato da tutto e tutti ma non può. Se gli impianti di areazione non ci sono e i complottisti non si vaccinano, il rimedio non è la classe ingessata e mascherata. Chi deve spiegare dietro ad una mascherina deve impegnarsi seriamente per farsi capire e per reggere alla stanchezza. Chi come alunno deve intervenire dovrà avere voce chiara e distinta oppure di quel che dice nulla si capirà. E magari preferirà tacere. Che meraviglia. Le competenze in lingua straniera possono andare a farsi benedire, ma quel che è più pesante è il dimezzamento dei volti, che rende la comunicazione una vera e propria farsa condita di “come?”, “ripeti” ecc. Ho sentito colleghe e colleghi, anche stimabilissimi, dichiarare che si può fare scuola bene in mascherina e resto allibito per la palese bizzarria dell’enunciato, come si può capire intervistando i nostri alunni.
Per carità non è questa una negazione della possibile pericolosità del contagio, e neppure un indulgere al folklore dei no mask di qualche anno fa, ma a me pare che, se si rischia ogni giorno per tante ragioni, si potrà a maggior ragione rischiare facendo scuola in modo pieno e serio. Chi ha paura dica che ha paura (massimo rispetto) ma non spacci l’aula mascherata per aula formativa perché di formativo tra persone senza bocca non c’è niente.
La questione sta tutta nel rapporto tra rischio e valore. Per che cosa nella vita val la pena rischiare se non per ciò che ai nostri occhi ha valore? Alcuni devono spiegarci perché il valore apprendimento non merita una quota di rischio più del valore tavolata in trattoria o apericena in centro. Mangiare in compagnia non ha più valore che parlare, sorridere e soprattutto imparare in compagnia. Infliggere una mascherina a studenti ed insegnanti che poi tutto il giorno trascorrono la loro vita in ogni dove, anche al chiuso, senza mascherina, significa non avere capito niente della necessità assoluta (non mi nascondo dietro giri di parole: assoluta) che l’insegnare e l’imparare avvengano potendosi guardare e potendo comunicare in modo chiaro e distinto, anche attraverso le emozioni.
Insomma, se c’è stato un tempo in cui, per ragioni più o meno prudenziali, si è potuta immaginare e praticare una simile distorsione dell’ambiente di apprendimento, perché a quell’epoca non si correvano rischi di nessun genere e la DIM faceva parte di questo paesaggio, oggi, dopo tre anni, come è stato per la DAD, anche questa caricatura della scuola deve tramontare, perché la misura francamente è colma e ai nostri allievi la scuola vera in cui ci si guarda e ci si sorride davvero (sempre se si ha interesse a guardarsi o a sorridere, fatto non scontato nelle nostre scuole) non la restituirà nessuno.
Panebianco, lasci perdere gli incisi


Sul Corriere di oggi, Angelo Panebianco ragiona di politica, ma poi non resiste alla tentazione dell’Inciso. Per inciso, siccome gli urge nelle viscere, deve esprimere i seguenti concetti:
Primo. Gli studenti, ma forse anche i docenti, sono capitale umano (detto due volte). La parola capitale vuol dire che se si investe su di loro, per esempio aumentando gli stipendi ai docenti, devono produrre.
Secondo. Non sono creatori di capitale umano, e quindi non lo sono essi stessi, e quindi vanno cacciati, i docenti che calpestano (“mettono sotto i piedi”) l’etica professionale.
Terzo. I docenti calpestano l’etica professionale quando, regalando (concetto valutativo di regalare) voti e diplomi ai non meritevoli, sono perseguibili addirittura per falso in atto pubblico. Aiuto, sento tintinnio di manette.
Quarto. I docenti che promuovono producono il falso, che tale risulta perché l’Invalsi produce INEQUIVOCABILMENTE il vero. Cioè, se lo dice Invalsi che Angelino o Paola (nomi di fantasia casuali) sono scarsi, non ci sono equivoci possibili. Sono scarsi. E chi dà loro la sufficienza va cacciato o addirittura arrestato.
Egregio Panebianco, per essere un inciso la vedo alquanto violento nei toni. Prima, insieme col suo sodale Della Loggia, lo vedevo alquanto dilettantesco nel parlare di scuola. Adesso lo vedo anche piuttosto feroce. La ferocia la consegno alla lettura di coloro che hanno la possibilità di scavare nel suo vissuto scolastico. Nel merito, le suggerirei di levare le chiappe dalla scrivania e consultarsi con chi di scuola, di educazione, di storia della scuola se ne intende. Lo faccia, Panebianco. Oppure se non ne ha voglia non faccia incisi. Si limiti alla politica e non ci appesti con le sue fregnacce.
Ma chi lo disse che questi erano i Migliori?

Sono impressionato dalla frequenza con cui gli osteggiatori (antisistema, anticasta, antiliberismo, antiamerica) di Draghi, piuttosto che rallegrarsi esplicitamente della sua caduta, preferiscano dileggiare coloro che se ne rammaricano. Li dileggiano attribuendo loro (quorum ego) una convinzione che non hanno: quella che questo sarebbe stato il governo dei Migliori. E’ una categoria alla quale i dileggiatori sono troppo affezionati per non destare qualche sospetto. I migliori non esistono in politica. Personalmente ho sempre pensato che questi fossero i migliori possibili in questa situazione. D’altra parte i dileggiatori che sbandierano questo concetto non ci hanno mai spiegato quali sarebbero stati i migliori possibili dal loro punto di vista: Conte? Renzi? Berlusconi? Salvini? Meloni? Calenda? Letta? Forse Conte. Perché mi pare che non amino tutti gli altri qui elencati. In verità, per quanto io ritenga Conte il più grande ariafrittologo mai visto sulla scena politica, devo riconoscere che non se l’è cavata male soprattutto nel Conte2, quando cessò di essere il vice dei suoi vice. E lo apprezzai tantissimo quando strattonò Salvini nel celebre discorso al Senato dell’estate 2019.
Tuttavia Conte cadde nel 2021, e Mattarella fece la sua scelta. Non credo pensasse di scegliere “i migliori”. La Costituzione gli dava facoltà di scelta ed egli, dopo il fiasco delle consultazioni Fico-Casellati, ha scelto. Da quel momento gli antisistema anticasta antiliberismo antiamerica hanno cominciato a urlare che questi non erano i migliori. Ma chi lo disse mai che lo erano? Perché questo bisogno di affermare che non lo erano? Lasciamo la questione agli psichiatri. Oggi, migliori o meno, sono caduti. Alcuni se ne rammaricano non perché erano i migliori, ma perché non vedevano…qualcosa di meglio. Adesso il pallino della discussione sta nelle mani degli antisistema anticasta antiliberismo antiamerica, che giustamente attendono il pronunciamento del popolo sovrano e si preparano alla nuova battaglia, che magari ci troverà alleati, dovessero vincere i Meloni e compagnia. Ma dio non voglia che Conte faccia un partito, vinca lui, e cominci a comportarsi da prosistema procasta proliberismo e proamerica. Chi potrà mai consolare gli orfani?