2013 Fuga dal Classico

L’Espresso del 29 agosto scorso ha pubblicato un’inchiesta che documenta la sempre inferiore appetibilità del vecchio glorioso e formativo Liceo Classico. Poiché da tempo ormai vado sostenendo, per lo più in ottima e autorevole compagnia, che l’antico stereotipo del Classico che risulterebbe di per sè formativo soprattutto per l’insegnamento della grammatica greca e latina è stato ampiamente dimostrato essere la più grande delle boutades, mi pare opportuno sottoporre quanto l’Espresso ha recentemente documentato per le conseguenti riflessioni.

Val la pena aggiungere qui che la morte del Liceo Classico non è auspicabile. Come non è auspicabile la sua rubricazione a luogo della “perfetta formazione”. Le discipline classiche (che non coincidono con le lingue classiche e queste non coincidono con le grammatiche classiche) hanno la loro funzione formativa indiscutibile e grave sarebbe se venissero dismesse. Semmai ne andrebbe perorato l’insegnamento in tutti gli indirizzi di studio per la loro formidabile valenza identitaria. Il problema è che questa disseminazione della latinità e della grecità in tutti gli indirizzi non è mai stata pensata proprio perché si continuano a ritenere queste discipline luogo della selezione delle “migliori teste”, ed è qui che nasce il de profundis del Classico. Se, come dice l’Espresso, al Latino e al Greco devono essere associati “metodi da fine Ottocento, lezioni frontali dalla cattedra e nozionismo” e se la gran parte dei bravissimi colleghi che insegnano al Classico continueranno a snobbare pedagogia e didattica quali discipline utili solo a chi insegna agli sfigati, è inevitabile che il numero di studenti disposti a passare sotto le forche caudine dell’attuale Liceo Classico (fatte salve ovviamente non poche e luminose eccezioni che sanno rendere significativi questi studi) diminuirà sempre più. E ciò non avverrà, come molti coltissimi colleghi sostengono, per la “caduta di livello” dei nostri studenti e per la superficialità delle famiglie. Ma avverrà perché non c’è istruzione per quanto di nobili tradizioni che possa sopravvivere di fronte alle sfide della contemporaneità e alle mutazioni antropologiche che il trascorrere del tempo fatalmente determina. Le attuali Indicazioni per i Licei purtroppo non sembrano accorgersi di tutto questo.

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Insegnante, blogger di servizio

Pubblicato il 4 settembre 2013, in Educazione e scuola con tag , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 3 commenti.

  1. Non credo di voler esprimere dei giudizi per singoli “indirizzi”
    Io penso che molto dipende anche dai docenti, oltre che dal DS ovviamente.
    Le direttive dei nuovi Licei non parlano di innovazione?
    L’innovazione va applicata in tutti i settori … a 360 gradi.

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  2. Insegnare latino e greco,purtroppo, equivale per parecchi colleghi a rivendicare una presunta superiorità che si traduce in atti meramente vessatori a danno degli allievi cui vengono rivolte richieste,anche sterili e ottuse, in nome di un passatismo assunto a blasone. I ragazzi si appassionano se comprendono il senso di ciò che fanno e se ne colgono la “spendibilità”: motivare e scandire bene ogni step per l’acquisizione delle conoscenze e competenze necessarie, è oggi un imperativo assoluto. Invece spesso la “corsa” alla fine del “programma”, l’uso di strumenti di consultazione poco agili per ragazzini che non sanno neppure usare il vocabolario di italiano, la liquidazione delle difficoltà con un semplice “non ha i prerequisiti” senza farsi davvero carico del bisogno formativo specifico di ciascun allievo rendono il percorso impossibile agli occhi dei ragazzi che si chiedono a cosa serva tutto ciò, avvertendo solo il peso di una vessazione. Mettersi in gioco come docenti e cogliere la sfida fornendo risposte concrete ad altrettanti concreti bisogni specifici, senza temere di perdere per questo “prestigio” è la chiave, inventare ogni giorno nuove strategie per cercare di aiutare Luca, Giovanni, Claudia, Manuela e ogni altro a superare l’impasse, “fare il tifo” per ciascuno di loro con un profondo rispetto delle loro intelligenze e delle loro qualità con la consapevolezza che, se ci sembra che siano carenti, è solo perchè noi docenti non sappiamo coglierle.

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  3. Nadia ha già espresso in modo oltremodo efficace gran parte del mio pensiero. Insegnare bene greco e latino non significa “incartapecorirsi” e “incartapecorire” gli alunni, nè può implicare edulcorazione, semplificazione e banalizzazione dei contenuti. Al contrario, a mio modesto parere, è necessario più che mai oggi puntare sulle competenze trasversali che lo studio di queste lingue comporta, agganciandole ad altri linguaggi. Non possiamo non rilevare che, purtroppo, le carenze dei ragazzi in ingresso, soprattutto nelle competenze linguistiche, non aiutano l’impatto con il Liceo Classico, ma, proprio per questo, la fase di ascolto e l’atteggiamento costruttivo dell’insegnante, nei primi mesi e durante il primo anno, sono fondamentali. Non si può mirare alla “selezione” come avveniva nella scuola di gentiliana memoria, in nome della idealizzazione di una futura leadership, ma alla formazione di futuri uomini e donne in una scuola che si professa come democratica. Ciò passa attraverso il confronto e lo scontro con l’ostacolo, non attraverso il bypassare l’ostacolo, e questo allenamento continuo, assai formativo per un adolescente, soprattutto agli inizi per alcuni può risultare “traumatico”; per questo è necessario accompagnare i ragazzi nel loro quotidiano confronto con una lingua “altra”, che può spalancare orizzonti di senso enormi, se di essa si scopre la chiave di accesso. Possono nuocere i luoghi comuni, frequenti nella scuola di oggi (e la recente fiction “Fuoriclasse” con la Littizzetto, trasmessa da Rai1, ci ha fatto divertire in tal senso) di qualche insegnante, che, al di là dello stile solidale che dovrebbe caratterizzare la nostra “missione”, lamenta la corposità eccessiva del programma svolto da un suo collega o, di contro, la sua esiguità; come anche possibili sono le incomprensioni da parte di qualche genitore che vorrebbe subito risultati stratosferici per i figli, non aiutandoli a misurarsi con il “limite”; ma anche questi inconvenienti si superano con l’onestà del proprio dovere, il dialogo e la passione educativa. Ciò che spesso non si comprende è che la sfida va giocata in classe con tante teste, di cui devi misurare, giorno per giorno, anno per anno, la temperatura, intensificando o rallentando i ritmi, in base al loro passo, per trainarli in questa splendida avventura che il loro percorso può rappresentare. E questa è una sfida che noi insegnanti maturiamo giorno per giorno e anno dopo anno sul campo, facendo sempre per primi autocritica, per migliorarci e per portarli avanti, camminando insieme a loro. Solo così il nostro “sapere” o, richiamandoci al buon vecchio Socrate, “non sapere”, avrà sapore, anche per i nostri allievi.

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