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I nostalgici della Didattica in Mascherina


Sulla Didattica in Mascherina (DIM), mostro prodotto dal COVID insieme alla DAD, ho avuto modo di ragionare alcuni mesi fa. Le linee guida per il prossimo anno scolastico, com’è noto, riservano l’uso della mascherina a chi rischia forme severe di contagio. E nell’assistere alla riapertura del dibattito sulle misure di protezione dal Covid nelle aule scolastiche, continuo a restare sbalordito dalla disinvoltura con cui qualche infettivologo si lancia nella nostalgia della mascherina in classe. Nulla da dire: l’infettivologo fa un altro mestiere. Con tutto il rispetto, non ha idea di cosa sia scuola o insegnamento.
La DIM è un mostro. Può non riconoscerlo soltanto chi non opera a scuola, chi ha una concezione accademica, distaccata e algida dell’insegnamento o ancora chi non riesce a scrollarsi di dosso la fobia di contagiarsi e pertanto vorrebbe vivere isolato da tutto e tutti ma non può. Se gli impianti di areazione non ci sono e i complottisti non si vaccinano, il rimedio non è la classe ingessata e mascherata. Chi deve spiegare dietro ad una mascherina deve impegnarsi seriamente per farsi capire e per reggere alla stanchezza. Chi come alunno deve intervenire dovrà avere voce chiara e distinta oppure di quel che dice nulla si capirà. E magari preferirà tacere. Che meraviglia. Le competenze in lingua straniera possono andare a farsi benedire, ma quel che è più pesante è il dimezzamento dei volti, che rende la comunicazione una vera e propria farsa condita di “come?”, “ripeti” ecc. Ho sentito colleghe e colleghi, anche stimabilissimi, dichiarare che si può fare scuola bene in mascherina e resto allibito per la palese bizzarria dell’enunciato, come si può capire intervistando i nostri alunni.
Per carità non è questa una negazione della possibile pericolosità del contagio, e neppure un indulgere al folklore dei no mask di qualche anno fa, ma a me pare che, se si rischia ogni giorno per tante ragioni, si potrà a maggior ragione rischiare facendo scuola in modo pieno e serio. Chi ha paura dica che ha paura (massimo rispetto) ma non spacci l’aula mascherata per aula formativa perché di formativo tra persone senza bocca non c’è niente.
La questione sta tutta nel rapporto tra rischio e valore. Per che cosa nella vita val la pena rischiare se non per ciò che ai nostri occhi ha valore? Alcuni devono spiegarci perché il valore apprendimento non merita una quota di rischio più del valore tavolata in trattoria o apericena in centro. Mangiare in compagnia non ha più valore che parlare, sorridere e soprattutto imparare in compagnia. Infliggere una mascherina a studenti ed insegnanti che poi tutto il giorno trascorrono la loro vita in ogni dove, anche al chiuso, senza mascherina, significa non avere capito niente della necessità assoluta (non mi nascondo dietro giri di parole: assoluta) che l’insegnare e l’imparare avvengano potendosi guardare e potendo comunicare in modo chiaro e distinto, anche attraverso le emozioni.
Insomma, se c’è stato un tempo in cui, per ragioni più o meno prudenziali, si è potuta immaginare e praticare una simile distorsione dell’ambiente di apprendimento, perché a quell’epoca non si correvano rischi di nessun genere e la DIM faceva parte di questo paesaggio, oggi, dopo tre anni, come è stato per la DAD, anche questa caricatura della scuola deve tramontare, perché la misura francamente è colma e ai nostri allievi la scuola vera in cui ci si guarda e ci si sorride davvero (sempre se si ha interesse a guardarsi o a sorridere, fatto non scontato nelle nostre scuole) non la restituirà nessuno.
Panebianco, lasci perdere gli incisi


Sul Corriere di oggi, Angelo Panebianco ragiona di politica, ma poi non resiste alla tentazione dell’Inciso. Per inciso, siccome gli urge nelle viscere, deve esprimere i seguenti concetti:
Primo. Gli studenti, ma forse anche i docenti, sono capitale umano (detto due volte). La parola capitale vuol dire che se si investe su di loro, per esempio aumentando gli stipendi ai docenti, devono produrre.
Secondo. Non sono creatori di capitale umano, e quindi non lo sono essi stessi, e quindi vanno cacciati, i docenti che calpestano (“mettono sotto i piedi”) l’etica professionale.
Terzo. I docenti calpestano l’etica professionale quando, regalando (concetto valutativo di regalare) voti e diplomi ai non meritevoli, sono perseguibili addirittura per falso in atto pubblico. Aiuto, sento tintinnio di manette.
Quarto. I docenti che promuovono producono il falso, che tale risulta perché l’Invalsi produce INEQUIVOCABILMENTE il vero. Cioè, se lo dice Invalsi che Angelino o Paola (nomi di fantasia casuali) sono scarsi, non ci sono equivoci possibili. Sono scarsi. E chi dà loro la sufficienza va cacciato o addirittura arrestato.
Egregio Panebianco, per essere un inciso la vedo alquanto violento nei toni. Prima, insieme col suo sodale Della Loggia, lo vedevo alquanto dilettantesco nel parlare di scuola. Adesso lo vedo anche piuttosto feroce. La ferocia la consegno alla lettura di coloro che hanno la possibilità di scavare nel suo vissuto scolastico. Nel merito, le suggerirei di levare le chiappe dalla scrivania e consultarsi con chi di scuola, di educazione, di storia della scuola se ne intende. Lo faccia, Panebianco. Oppure se non ne ha voglia non faccia incisi. Si limiti alla politica e non ci appesti con le sue fregnacce.
Chi l’avrebbe mai detto?
In questi 19 minuti e 15 secondi il presidente dell’Invalsi Roberto Ricci, persona garbata e amabile, ci dice delle cose che ritengo necessario appendere permanentemente in cucina per tenerle a mente. Ne isolo tre, ma è bene guardare tutto il video.
Primo. L’Invalsi ha compiti esclusivi di monitoraggio del sistema. Per cambiarlo occorre il decisore politico. Aspettiamolo.
Secondo. I risultati negativi al Sud dipendono da “un contesto sfavorevole all’apprendimento” che ha “opportunità culturali minori”. Non ci avevamo fatto caso.
Terzo. Se le scuole “eliminano o riducono” il peso del contesto sui dati possono individuare quella parte che dipende strettamente da esse. Individuando il 20-25 per cento dipendente da esse “cominciamo da domani”. A fare che, non ce lo dice. E come si fa a separare il peso del contesto dal peso della scuola, neppure. Si accettano scommesse.
Alla fine Reginaldo Palermo, prefigurando il momento in cui il dott. Ricci andrà in pensione, poiché questi si è autocompreso come uno che sta sempre “sulla fune”, immagina che potrà dire “finalmente sono tornato con i piedi sulla terra”. Sublime.
Un libretto prezioso

Questo è uno di quei libretti preziosi che aiutano a pensare la politica scolastica come emanazione della storia politica, sociale e culturale di un Paese. I due autori sono – oltre che amici – persone di scuola e di pensiero sulla scuola. Ne raccomando la lettura. Si capiscono un sacco di cose. La storia della “maturità” in fondo è la storia della nostra scuola.
Dalla quarta di copertina:
La storia dei cambiamenti via via introdotti negli esami di Stato, qui ripercorsa dalla riforma Gentile ai giorni nostri anche attraverso testimonianze letterarie, accompagna e spesso segna la storia della scuola e dei suoi rapporti con la società.
I cambiamenti dell’esame, spesso introdotti senza lasciare alla scuola il tempo di assimilarli davvero, hanno risposto più a esigenze e pressioni esterne che alla reale evoluzione della scuola. Oggi ci consegnano un esame finale svuotato di senso e appesantito da scelte e procedure sbagliate, a tutto vantaggio delle tesi di chi lo vorrebbe abolire, privando la scuola della Costituzione del suo suggello finale.
Acquistabile a prezzo davvero simbolico a questo link.
Un anno senza Giancarlo Cerini

Era di quelle presenze che ti danno la sensazione di latitare per settimane o mesi. Ma quando la posta elettronica o whatsapp lo facevano ricomparire era come se ci si fosse sentiti o scritti il giorno prima. Nel frattempo aveva messo insieme cento idee, ma quel che colpiva è che di quelle cento alcune erano ritagliate precise per te, e quando ti chiedeva di scrivere questo o quell’altro dentro una cornice che lui aveva elaborato ti sembrava che proprio di quello ci fosse bisogno in quel preciso contesto. Conosceva perfettamente vocazioni e talenti di tutti, e a ciascuno chiedeva quello che era di stretta pertinenza dell’interessato. Un vero direttore d’orchestra che conosceva i suoi musicisti.
Un anno senza Giancarlo. Senza l’imprimatur. L’imprimatur è quella sensazione, anche se non espressa, di valere, di poter fare qualcosa di utile per la scuola. L’imprimatur è quel pensare a lui mentre scrivi, indovinare cosa ne penserebbe. Soltanto quando mi occupavo di Dante non si sentiva particolarmente coinvolto, per ovvia diversità di interessi. Eppure il ventisettesimo canto del Purgatorio ha un’espressione che ben si potrebbe adattare al ricordo di lui. Quando Virgilio, la guida, scompare alla vista di Dante, il poeta esclama: Ma Virgilio n’avea lasciati scemi di sé. Appunto, Virgilio ci aveva lasciati privi di sé. E forse, davvero, anche un po’ più “scemi” quando vogliamo capire qualcosa di questa scuola sgarrupata.
Il prossimo 27 aprile lo ricorderemo a Palermo. Qui la locandina.
La scuola “affettuosamente” in presenza

Questo rientro siculo di domani magari per due soli giorni, alle soglie della zona arancione, ha tutti i caratteri della stoltezza e di un tatticismo politico sgradevole. Il governo nazionale lunedì sera esibisce la sua prosopopea sulla scuola in presenza – ben guardandosi dall’estendere a tutti l’obbligo vaccinale – ignorando che la scuola che si profila a partire da domani sarà in presenza per metà e per metà a distanza, con mortificazione della parte a distanza, che non capirà niente di quel che si fa in classe, e di quella in presenza, che respirerà l’aria infetta dal virus a sua volta infettata dall’ansia viscerale di docenti e dirigenti che penseranno soltanto a come uscire indenni.
Ho letto qua e là, anche nei social, appelli patetici nella direzione della scuola in pseudopresenza da parte di docenti che sembrano più attraversati da pulsioni romantiche, come il nostro ministro pro tempore, che da una considerazione attenta della situazione reale. I nostri ragazzi sono trattati o come dei poveri molluschi tutti inclini al d-i-s-a-g-i-o-p-s-i-c-o-l-o-g-i-c-o da pareti domestiche (sempre meglio della trincea o dei cartoni per strada) oppure come soggetti che vanno tenuti dentro il contenitore ammorbato pur di evitare che se ne vadano in giro oppure che si pestino i piedi in casa con sorelline e fratellini.
La dispersione scolastica che la DAD procurerebbe la trasferiamo in queste aule a zero ventilazione, con alunni non contagiati ma non vaccinati, con docenti impauriti che neppure si salutano per non contagiarsi (belle lezioni…), con dirigenti impazziti e blindati nelle presidenze dietro a certificazioni e circolari. Questo permette al nostro ministro pro tempore e ai suoi seguaci (per convinzione o per tatticismo politico) di affermare orgogliosamente che la scuola resiste in presenza e che gli alunni sono tutti sorridenti (con gli occhi), perché la DAD è una “catastrofe culturale”, come ha scritto qualcuno, ed è vero: la DAD è una catastrofe culturale quando è fatta da docenti le cui lezioni in presenza sono già una catastrofe culturale.
Ministro, ma lei che “voci” ascolta?

Migliaia di presidi, sostenuti da tanti insegnanti, per il ministro Bianchi che “voci” sono? Cosa hanno di diverso dalle “tante voci che ci dicono che la scuola debba restare in presenza”? Lo dico io. Hanno di diverso che sono voci reali. Cognome e nome, scuola di appartenenza, regione. A queste Bianchi non sembra interessato. Sembra interessato invece alle altre, non meglio precisate. Chi vince la partita nel discernimento del ministro? Che nome e che volto hanno le “tante voci”?
Certamente è un altro bell’indizio del rapporto tossico che c’è tra scuola e politica. Nessun ministro è stato capace di guarirlo. Ciascuno batte in curva il precedente, quando ti aspetti che non sia possibile.