Archivio mensile:luglio 2024
FACEBOOK, QUAL È LA TUA “RETTA VIA”?

Ritengo doveroso far conoscere quanto accade all’interno di Facebook, il più popolare dei social. Per diciassette anni me ne sono tenuto lontano, ma a partire dal 2021 ho ritenuto che potesse essere un buon canale di circolazione delle idee, e l’ho usato solo per questo, evitando come la peste aperitivi, feste di compleanno, tramonti e altra materia futile. I miei post hanno sempre avuto un carattere garbato e rispettoso, anche quando esprimevano critiche. Mi occupo di scuola.
Nel febbraio del 2023 questo articolo sulle famose manganellate agli studenti viene rimosso perché “fuorviante”. Quest’anno, un commento alla misura ministeriale del Capolavoro degli studenti viene rimosso perché “fuorviante”. In questi giorni, un ragionamento pubblicato su questo blog a proposito del divieto ministeriale dei cellulari viene rimosso perché “fuorviante”. Le tre rimozioni hanno qualcosa in comune? Evidente: sono delle critiche a questo governo.
Perché, si dirà, Facebook non contiene critiche al governo? Eccome! E anche sguaiate. Accuse di fascismo, insulti e denigrazioni, tutta materia che però non risulta “fuorviante” all’algoritmo imbecille. E dunque? E dunque si scopre che se hai fatto indispettire qualcuno (o qualcuna) nella vita (e a me capita, perché ho il difetto di non mandarla a dire) questo qualcuno (o questa qualcuna) ha il potere di “segnalarti” a Facebook. La sua identità resterà anonima e tu sarai oscurato.
In questi giorni su Facebook mi sono pronunciato su un tema innocente, la qualifica di “prestigiosa” attribuita ad una scuola. Lo spunto era la revoca della nomina a DS di Giusto Catania. Il post è rimasto un paio di giorni. Era più innocente di un francescano. Ponevo soltanto dei quesiti di ordine pedagogico-culturale. Oscurato perché “fuorviante”.
Tiriamo le somme. Questo è un social che permette agli istinti più volgari di dire le peggiori porcherie e di oscurare invece chi ha la ventura di fare antipatia a qualcuno (o qualcuna). La segnalazione anonima mi suscita ricordi inquietanti. I naviganti di Facebook si costernano e si indignano, esprimendo stima e solidarietà, per tornare poi alle solite pratiche social nella speranza che qualcuno (o qualcuna) non si alzi la mattina e dica: “adesso basta tu non parli più”. Cioè che non capiti a loro.
Questo accade nella nostra Repubblica delle Banane.
DIVIETO CELLULARI: IL NEOPROIBIZIONISMO CHE METTE LA CENERE SOTTO IL TAPPETO

“Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri”.
Torna sempre alla mia memoria di laico questo passo di Paolo di Tarso, tratto dalla Lettera ai cristiani di Roma, quando nel mio lavoro di insegnante osservo la dinamica della Proibizione, di cui la scuola, a misura della sua perdita di credibilità sociale, sembra avidamente nutrirsi. La dinamica della Proibizione consente a chi vuole debellare un fenomeno di intervenire sulle regole. Sarebbe impensabile una scuola priva di regole. Chi potrebbe immaginare una vita scolastica ordinata se nulla fosse proibito?
L’ultima circolare del ministro Valditara non poteva che riscuotere il plauso pressoché generalizzato perché proibisce l’uso del cellulare nella scuola dai 3 ai 14 anni. E per marcare la propria perentorietà lo vieta anche per scopi didattici, aggiunta superflua perché sarebbe stato comunque l’unico ambito in cui la proibizione avrebbe dovuto concentrarsi, considerato che il cellulare in classe, durante le lezioni, già non può essere adoperato con altri scopi. Quindi la notizia non è il divieto ma gli scopi didattici.
Questa proibizione dovrebbe “togliere il male da Israele”, sempre per parafrasare l’ansia proibizionista dell’antico ebraismo certificata dal Deuteronomio.
Vietare è impegnativo. Perché chi vieta deve essere irreprensibile, pena l’indebolimento di significato del divieto, del genere “fate come vi dicono ma non fate quel che fanno”. Il mondo proibizionista degli adulti, infatti – mondo politico incluso che ne ha bisogno come il pane per gestire i consensi – non è meno dipendente dai cellulari di quanto non appaia il mondo giovanile, e a giudicare dal continuo e becero uso che se ne vede fare da persone che vanno dai 40 ai 70 anni si può trarre il convincimento che forse il pulpito ha qualcosa che scricchiola.
Si dirà che il divieto riguarda i più piccoli, ma qualcosa non torna ugualmente, perché consentire al quattordicenne liceale quel che è vietato al ragazzino che era prima non toglie proprio nulla da Israele, ovvero non rende il quattordicenne più saggio.
Seguendo la logica paolina infatti è abbastanza verosimile che il divieto aumenti a dismisura la voglia di trasgressione dei più piccoli, ai quali le insegnanti e gli insegnanti del primo ciclo dovrebbero spiegare perché loro no e gli adulti sì. Impossibile infatti immaginare un esercito di docenti del primo ciclo che dalle 8 alle 14 ignori il proprio cellulare: ci sarà sempre un tecnico della lavatrice, una madre anziana, un postino, un corriere di Amazon che non passeranno mai dal centralino della scuola. E allora che si fa?
I social sono il luogo-principe della chiacchiera da stadio. E nella logica dello stadio si è visto chi ha denigrato la circolare del ministro perché Valditara è di destra e quindi appariva naturale contestarlo anche se avesse detto che la terra gira attorno al sole; e chi vi ha inneggiato come alla panacea di tutti i mali del secolo, perché all’uomo comune la Proibizione – naturalmente inflitta agli altri su questioni che non lo toccano – dà una sorta di vertigine educativa insopprimibile.
Posture come quella che qui assumo invece sono molto più soggette a critiche perché sfuggono a quel genere di chiacchiera e peraltro hanno un’impronta antiproibizionista. Infatti sono convinto che in educazione ogni proibizione abbia respiro corto: vinci la battaglia, ma non vincerai mai la guerra. In politica questa attitudine al proibire (tra cui chiudere porti ecc.), che è un’attitudine muscolare, si chiama generalmente propaganda. Sono ormai più di venti anni che i ministri tentano di fare la guerra ai cellulari, con lo sguardo miope di chi non immagina che una circolare ministeriale del 2070 proibirà l’ingresso nelle scuole senza il cellulare, come oggi è proibita la partenza in aereo senza documento di riconoscimento.
L’alternativa alla proibizione è nota a tutti, ma ha scarso successo perché costa troppa fatica e forse esige una professionalità docente di un certo tipo. Il dispositivo da proibire va infatti guardato in faccia, tutti insieme, per capire dove ci frega e dove ci avvantaggia. Ci sono momenti della lezione in cui lo poseremo perché il focus è altrove, e anche questo riporre il cellulare sarà educativo, con un’enfasi quasi liturgica, perché tutti capiranno quando è il caso e quando non lo è. Poi lo prenderemo tutti insieme perché ci serve andare a cercare qualcosa che ci serve oppure perché vogliamo imparare il suo utilizzo per studiare meglio.
Essendo un dispositivo di uso quotidiano che poi, dalle 14 in poi, userebbero comunque, si tratterebbe di metterlo a tema in classe, come tutte le cose “pericolose” che a scuola vengono guardate in faccia per capire in cosa consista la loro pericolosità. Diventiamo dipendenti da qualcosa senza cui non riusciamo a vivere. Non è che toglierla dai radar vuol dire eliminare la dipendenza. Ti posso togliere la “roba” e farti impazzire dal desiderio di averla, ma non ho risolto il problema se non lavoro sulle ragioni della dipendenza. Significa mettere la cenere sotto il tappeto.