Populista

Ultimamente mi è stato rivolto questo appellativo in virtù dei miei interventi pubblici (orali o scritti) sulla scuola. Fino all’ultimo contributo pubblicato da Repubblica, che ha creato un certo dibattito sul compito della scuola in ordine all’emergenza educativa che viviamo (curiosamente una di queste è proprio il populismo).

Ho molto riflettuto su quest’appellativo che mi viene rivolto e riflettendo ho capito perché la sinistra ha toccato il fondo. E questa comprensione muove da una certa concezione del consenso. Una certa sinistra fa molta fatica ad esprimere unanimemente il consenso ad una posizione. Per un paio di decenni ho fatto parte di consessi in cui si era capaci di dibattere per ore solo perché nessuno era capace di dire “sono totalmente d’accordo con…”. Ricordo sedute interminabili di lavoro sulla politica scolastica in cui a quindici persone corrispondevano quindici posizioni diverse. In realtà ciascuna posizione divergeva dall’altra solo in un paio di sfumature. Ma era fondamentale dire esattamente la stessa cosa per venti minuti premettendo però che non si è d’accordo. In realtà non si era in disaccordo sulla cosa, ma sul fatto che la dicesse quello lì.  Quindi quindici teste, quindici posizioni. La Sinistra.

Se c’è troppo consenso verso una posizione si rischia la dittatura. E questo alla sinistra non piace. Ma se sul fronte politico opposto (opposto?), come si può vedere, del consenso più o meno unanime si fa un punto di forza, a sinistra si vive la sindrome opposta, come ben comprendeva Renzi quando cominciò ad atteggiarsi alla Berlusconi. Anche se bisogna riconoscere che lui aveva esagerato nel copiare gli avversari. Dopo il renzismo, oggi, andare ad un congresso del PD permette di comprendere cosa vuol dire polverizzarsi per evitare a tutti i costi l’unanimità. Dal renzismo all’atomismo.

Dunque, occhio al consenso generalizzato. E attenzione a dire: “sono totalmente d’accordo”. E attenzione a quelli che lo dicono. Saranno certamente plagiati dal populista. E’ subito sospetto, il consenso, e necessita di distinguo. Ovviamente molto sostanziali. Così avviene anche nel mondo della scuola, che al suo interno riproduce i vizi della sinistra soprattutto nelle sue entità organizzate (dove ci sono i presidenti i dirigenti e i coordinatori), che dibattono all’infinito per approfondire i problemi. Giustamente. Per stare però poi col cerino in mano con tutti i distinguo e nessuna possibilità di muovere le persone attorno a due-tre idee forti comunicate brevemente e con intensità. E giustamente vince il sindacato che il consenso se lo becca subito con le sue questioni di money. Alla faccia del dibattito culturale.

Ora, se spunta qualcuno che tenta una comunicazione di altro segno, con tutta evidenza è populista. Perché scimmiotta gli avversari politici. A questo punto la sinistra organizzata, anche nella scuola, finisce per avere almeno due ordini di avversari: quelli istituzionali e poi quelli interni che riescono a dire e a fare qualcosa che muove la cosiddetta scuola militante. Se essere populisti vuol dire tentare questa mobilitazione dei pensieri, io – che non mi faccio mai scrupolo di dire “sono totalmente d’accordo” purché si vada avanti – mi autoannovero tra questi con buona pace delle signore e dei signori – ecco, stavolta lo dico io – radical chic perennemente riuniti a ritagliarsi ciascuno la propria nicchia irriducibile a quella di chi siede accanto.

Vignetta di Laura Mollica
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Insegnante, blogger di servizio

Pubblicato il 3 settembre 2018 su Cultura e società, Esperienze. Aggiungi ai preferiti il collegamento . Lascia un commento.

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