L’essenziale è misurabile

imagesSarà capitato a molti, tra dirigenti e docenti della scuola, di assistere a conferenze di servizio, a convegni o a seminari in cui illustri rappresentanti del MIUR o degli UUSSRR presentano le nuove opportunità offerte dalla Legge 107 e dal Sistema Nazionale di Valutazione. Da settembre a questa parte, quando ho assistito personalmente a questo tipo di eventi o quando mi sono fatto riferire da altri, sono arrivato sempre alla conclusione che i casi sono due: o la scuola reale non capisce nulla di scuola, oppure la scuola degli apparati non “vede” la scuola reale.
C’è un mantra che la scuola degli apparati ripete continuamente, e forse la scuola reale non riesce a capirlo: solo ciò che è misurabile è migliorabile. Sul migliorabile chi potrebbe contestare? Alzi la mano chi non vorrebbe che le cose migliorino. Però io tutte le mattine in classe riesco a migliorare il clima relazionale che c’è tra i miei alunni, ma per far questo non ho avuto bisogno di “misurarlo”. Anche il gusto per la poesia dei miei alunni riesco a migliorare, ma non posso giurare di averlo fatto sulla base di una “misura”. La misura è oggettiva, io per fortuna non sono che un soggetto.
Recentemente ho anche sentito dire da una figura di quelle ministeriali incaricate di presentare questi temi che “migliorare le prove Invalsi vuol dire migliorare le didattiche”. Le prove Invalsi sono quelle cose che si possono misurare perché i loro oggetti sono delle risposte, non delle domande. Sono dei “risultati”. Se io miglioro i risultati, diceva la signora, miglioro le didattiche, cioè i modi in cui dovrei perseguire i risultati. Le scuole siciliane, si dice dagli apparati locali, hanno indicato come maggior priorità di miglioramento le prove Invalsi. Quindi dovranno migliorare le didattiche, nell’implicito che la virtù delle didattiche si vede dai buoni risultati delle prove Invalsi. Per la verità conosco decine e decine di scuole sicule le cui didattiche non esiterei a definire eccellenti, ma i cui risultati Invalsi sono scarsi. Forse sbaglio io a giudicare eccellenti quelle didattiche. Oppure bisogna intendersi sulla parola “didattica”. O sulla parola “risultati”, che forse sono diversi dalle “risultanze”, pur potendosi sussumere entrambi sotto “ciò che risulta”, che però non sempre – per fortuna – è misurabile.
Anche il merito degli insegnanti, si sente dire, è individuabile attraverso “criteri”. I criteri non sono misure, ma i loro sostenitori ne parlano come se chi individua criteri fosse al riparo della soggettività. Su questi temi qualcosa di intelligente però si legge.
Io, da semplice docente, ho solo la sensazione quotidiana che tutte le volte in cui l’educazione e l’istruzione vogliono sbarazzarsi della soggettività, il risultato (accidenti, di nuovo lui!) è di creare la caricatura della scuola. Ma questa caricatura, agli occhi delle donne e degli uomini di apparato, almeno ha un pregio. Quello di essere “un dato da cui partire”. Sì, l’altro mantra: i dati da cui partire. Perché solo se hai dei dati sicuri puoi migliorare. Il neopositivismo educativo della nostra attuale stagione scolastica. Quando gli altri lo abbandonano arriviamo noi.
Ci si chiede, assistendo a certi megaraduni di dirigenti e docenti arringati da donne e uomini di apparato, se essi stessi, da ex insegnanti, da educatori, da genitori, credano davvero, fuori dalle dure necessità cogenti dell’apparato, a questa cultura del dato e della misura. Il sospetto è che in fondo in fondo non ci credano, come attesta questa slide posta a conclusione di una relazione tutta numeri e percentuali prodotta da una gentile signora dell’apparato. Eterogenesi dei fini.

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Informazioni su Muraglia

Insegnante, blogger di servizio

Pubblicato il 1 febbraio 2016, in Educazione e scuola con tag , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 2 commenti.

  1. Condivido in pieno, caro Maurizio. E te lo dice uno che è rimasto fermo alla scuola di Barbiana (sic). rosario greco

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