Mi curo con Dante

Tra tanti libri che riguardano Dante e che doverosamente si leggono, ogni tanto ne esce qualcuno che occorre leggere più di una volta, tanta è la profondità che trasuda dalle sue pagine. E’ il caso di questo “E d’ogni male mi guarisce un bel verso”, scritto da Fabio Stassi, pubblicato in questi giorni dalla palermitana editrice Sellerio e puntualmente segnalatomi dalla mia cooperatrice culturale Laura Mollica, fonte inesauribile di spunti, segnalazioni e stimoli interdisciplinari.

Davvero Stassi fa respirare, perché esce dal “mondo umbratile dei dantisti” (Contini) ed entra in quello spazio in cui tanti di noi, grandi e piccoli (come me) appassionati di Dante, desideriamo entrare, che è quello della meditazione esistenziale suscitata dai versi danteschi. L’ipotesi è quella del valore curativo della poesia dantesca, a partire proprio dal primo paziente da curare che è Dante stesso, rivisitato da Stassi e dai suoi riferimenti culturali nella sua strutturale fragilità psicologica ed esistenziale, riscattata dalla potenza pittorica (e musicale) dei suoi versi. Nella prosa di Stassi, Dante è in conversazione con scrittori che, avendolo studiato ed amato (Leopardi, Mandel’stam, Borges, Eliot, Pirandello, Ungaretti, Saba, Canetti, Caproni per citarne alcuni), riescono a offrirci chiavi di lettura a volte fulminanti e capaci di suscitare anche nei non addetti ai lavori il desiderio di saperne di più. Il culmine della forza di resistenza al dolore generata dal poeta fiorentino sta nella rievocazione fattane da Primo Levi nel celebre episodio di Pikolo, in Se questo è un uomo. Da qui merita trarre un exemplum: “Non c’è stata forse, nel nostro tempo, un’approssimazione all’inferno più universale di quella di Auschwitz, nessun allontanamento o esilio più riconosciuto dalla condizione umana. Quale eco avranno avuto, per Primo e per Pikolo, quei due versi, ‘fatti non foste a viver come bruti,/ma per seguir virtute e canoscenza’? Perché è proprio nei luoghi più estremi, nei luoghi di pena e di detenzione, negli ospedali, nelle carceri, nei lager, che la poesia mostra tutto il suo sorprendente potere salvifico. Nei penitenziari dotati di una biblioteca, la percentuale dei suicidi cala drasticamente: un verso, anche un singolo verso, può salvare una vita, restituire l’umanità che si è smarrita o ci è stata tolta”. (pp.86-87)

Insomma, un libro come questo è davvero quel che serve ad uscire dal recinto talvolta asfittico degli specialisti. Ne consiglio la lettura non solo ai dantisti confinati nell’elitaria erudizione dantesca, ma a tutti coloro che hanno amato e amano Dante, inclusi ovviamente gli insegnanti, e non solo di Lettere, che hanno a cuore la poesia. “La scomparsa della poesia è un altro dei grandi cambiamenti climatici della nostra epoca, e come tutti i mutamenti in corso non è stato ancora indagato a fondo. Ma è alla base di tanti malanni, d’ogni genere, perché la poesia ha a che fare con la bellezza e con il piacere: del linguaggio, della parola, dell’amicizia. Per usare un termine dantesco, con i piaceri del convivio, dello stare bene insieme, nel modo corretto, e dunque con il ben essere, con la salute nel senso letterale di salvezza, con la Beatitudine. Dante ne era consapevole e lo scrive in un’altra lettera a Cangrande della Scala: il fine di tutta la Commedia ‘ consiste nell’allontanare quelli che vivono questa vita dallo stato di miseria e condurli a uno stato di felicità’. (pp.103-104)

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Insegnante, blogger di servizio

Pubblicato il 15 ottobre 2023, in Cultura e società con tag . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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