Archivio mensile:aprile 2023

Ma qualcuno la democrazia nelle scuole l’ha vista?

Non c’è niente di più complicato che praticare la resistenza in tempi di libertà. A me il 25 aprile fa pensare questo. È vero, come diceva Troisi, a proposito del Miracolo: c’è Liberazione e liberazione. Ma pensare alla seconda non è anche un buon modo per celebrare la prima? E in che misura la scuola è coinvolta in questo discorso? Rileggendo in questi giorni per l’ennesima volta la Lettera a una professoressa degli allievi di don Milani, la cui nascita risale a cento anni fa, ho rivisto quanto quel testo trasuda di resistenza e di desiderio di liberazione. Eppure nel 1967 non c’era più la dittatura. Qualcosa non torna? Si può quindi parlare di resistenza in tempi di libertà?

Michele Serra chiamava il suo “Cuore” settimanale di resistenza umana. Ecco, resistenza umana. La scuola di oggi sembra avere dimenticato la resistenza umana forse perché non si accorge più di quel che accade. Prendiamo le ultime sparate ministeriali, di un Ministero appartenente ad una libera Repubblica democratica. Finita la sbornia del 25 aprile tutte le scuole torneranno ad adoperarsi per trovare i docenti orientatori e i docenti tutor. Difficile immaginare che all’interno delle scuole si sia avviata una riflessione collegiale sul significato di questa novità. Nelle scuole non si discute più ormai. Si esegue. Altro che resistenza e liberazione. Qui manca il prerequisito di entrambe: la libera discussione democratica.

La vicenda dell’Educazione civica e del docente tutor sono esemplari. I dirigenti scolastici, che pure in molti casi sono figure di gran spessore intellettuale e civile, non hanno altra chance che essere mere cinghie di trasmissione nel veicolare le decisioni ministeriali a Collegi che le recepiscono senza discutere. Al più, si adoperano per favorire ricezioni intelligenti dell’Insensatezza. Ma nella sostanza il sistema è feudale, dal ministro ai direttori regionali con i loro dirigenti tecnici comandati che producono slides e visite ispettive, ai dirigenti scolastici, per finire ai docenti, proletariato intellettuale esecutore. Dov’è la libertà? Quando all’interno di un Collegio qualcuno tenta di avviare una discussione nel merito di una misura ministeriale scatta la clessidra. Quando non peggio. Nelle sale professori idem. Il desiderio comune è quello di star quieti. La maggior parte dei docenti non ha voglia di ragionare su ciò che “si deve fare”. Nella fattispecie, la questione del tutor è soltanto un adempimento. Occorre soltanto trovare le disponibilità. È uscita la circolare con la masticazione del decreto ministeriale fatta dal dirigente. Cosa vuoi discutere.

Cosa poi debba fare un tutor non è chiaro a nessuno. E non sorprende. Perché in realtà non è chiaro cosa si debba fare per “orientare”. Ogni alunno, nel momento in cui mette piede in un’aula scolastica, deve studiare insieme ad altri compagni. Si trova davanti insegnanti e saperi scolastici. E deve capire qual è la sua via. Per la verità, fino alla terza media c’è poco da capire la via. Tutti insieme appassionatamente. La questione si pone alla fine del primo ciclo ed ha a che fare, ancora, con i saperi e con le capacità che l’allievo va acquisendo. Dunque con gli insegnanti di quell’allievo, che si riuniscono periodicamente per fare il punto sulla situazione degli apprendimenti. Sono essi che intrattengono un rapporto “orientativo” con l’allievo. Sulla base dei saperi, di fronte ai quali ogni allievo misura le proprie inclinazioni favorevoli. Oppure il proprio odio. A seconda di chi va in cattedra. Le famiglie c’entrano molto poco. Non sono addette ai lavori, lo diventano quando chi lo dovrebbe essere non è all’altezza. Sanno tutti che basta insegnare con serietà e competenza, rendendo operativo e vitale il rapporto con i saperi, perché l’allievo non si senta “disorientato”. Lo sanno anche al Ministero. Ma arrivano soldi. E vanno spesi. Un po’ di prosopopea e di paccottiglia pedagogica di contorno ed ecco il tutor bell’e fatto.

Si dice che la scuola sia maestra di democrazia ma è solo retorica, perché non esistono le condizioni per insegnarla o praticarla in classe, e non esistono perché chi non la pratica non la può insegnare. Ancora il voto di condotta si abbassa se l’allievo è impertinente e la dice sul muso al docente. La rivalsa. Altro che 25 aprile.  

Insomma, mai come in quest’epoca la democrazia interna alle scuole ha toccato il fondo. Mai come in quest’epoca è assente ogni forma di resistenza di fronte a misure insensate, incompetenti, inessenziali. Le ultime significative obiezioni di coscienza interne alle scuole risalgono al portfolio del 2004 e al bonus premiale del 2015. L’uno e l’altro infatti sono stati affossati in virtù di prese di posizioni forti. Questioni educative di grande portata, quali l’inclusione, il merito, la cittadinanza o l’orientamento, sono ridotte a certificazioni da compilare per sedare le famiglie oppure a numero di ore da dichiarare, 33 di educazione civica, 30 di orientamento. Banalità pedagogiche. L’educazione ridotta a Burocrazia ed Adempimento. Altro che festa della Liberazione. Questa è la festa della Sudditanza. Nessuna Greta Thunberg della scuola all’orizzonte. Si naviga a vista. Buon 25 aprile.

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